Il buio totale in cui sono finite le nostre famiglie con disabili

AA

Mi rivolgo al suo giornale perché ho bisogno di condividere alcune riflessioni che mi impediscono di vivere in serenità. Non voglio farla troppo lunga, ma il sasso che ho nella scarpa è davvero troppo grande. Sono mamma di una ragazza disabile di 24 anni che frequenterebbe un Centro diurno per disabili (Cdd), dico frequenterebbe perché è a casa dall’inizio di marzo e ad oggi non abbiamo notizie chiare in merito al rientro. Premetto che non voglio sparare critiche a destra e sinistra perché ritengo che tutti abbiamo vissuto una situazione nuova e sconosciuta e ciascuno abbia dovuto prendere decisioni che mai avrebbe pensato di dover prendere e non invidio certo chi ha dovuto prenderne anche per altri, voglio credere che chi ha dovuto decidere in conto terzi pur sbagliando lo abbia fatto in assoluta buona fede e nella convinzione di fare bene. Detto questo però le nostre famiglie (dico nostre perché credo che in generale chi ha un disabile in casa possa più o meno condividere), si sono alzate un mattino ed hanno trovato la luce spenta, il buio totale, nessuna candela di speranza, nessun lumicino in fondo al tunnel, sole, abbandonate... La paura di tutti ha fatto si che ci si rintanasse in casa, sottolineo che i nostri figli oltre ad essere disabili spesso accompagnano anche patologie mediche, le più diverse, quindi soggetti doppiamente a rischio e non dimentichiamo che ci sono stati giorni in cui girava voce (e speriamo solo quella) che in terapia intensiva dovendo scegliere chi intubare non avrebbero certo scelto i nostri ragazzi. Per molte categorie di persone non si è fatto nulla o poco e tra queste categorie ci siamo anche noi, per la verità abbastanza abituati ad essere dimenticati. Noi non siamo trendy, non siamo cool, non facciamo tendenza e non produciamo reddito, anzi tecnicamente spesso saremmo nel «bisogno», direi soggetti poco interessanti, ma esistiamo, ci siamo, siamo vivi al pari di tutti gli altri. Siamo famiglie dignitose, con la testa bassa tiriamo il nostro carretto spesso troppo pesante, senza clamore, senza lamenti, non siamo più bravi, come sento dire spesso, solo ci siamo trovati nel posto e nel momento in cui era richiesto che per il bene dei nostri figli ci si comportasse in questo modo, chiunque al nostro posto lo farebbe. E per questa dignità che ci accompagna non ci piace alzare la voce, anche se forse in questo mondo urlato sarebbe la strada più opportuna, vorremmo solo che chi si trova a fare leggi anche per noi capisse cosa significa, capisse che non basta annunciare 12 giorni in più di permesso, per un genitore che non lavora 12 giorni in 2 mesi ma ne lavora 40 e non può contare sui nonni perché è sacrosanto preservarli da questo male che li porta via brutalmente, che non può contare su una comune baby sitter perché passerebbero mesi prima che si possa instaurare un rapporto sano e sicuro, perché un ragazzo disabile va «inteso, conosciuto in ogni sfumatura» perché un gesto con le mani può voler preannunciare qualcosa di serio, perché un gioco banalmente ripetuto significa che si sta perdendo, perché le mani fredde possono essere indice di un malessere grave e così via. Vogliamo poi parlare dello smart working? Si certo, comodo lavorare da casa, ma se sei in casa da solo non con un soggetto che va accudito 24 ore su 24. Oggi ci raccontano che nei prossimi giorni potrebbero riaprire i centri e che la misura principale è il test sierologico e in caso di positività è previsto l’isolamento. Ma se davvero è così pericoloso questo virus forse sarebbe il caso di verificare prima lo stato di salute di tutti e solo poi metterli insieme o li mettiamo tutti insieme poi con calma li verifichiamo e man mano che troviamo positivi ricominciamo tutto da capo con un contagio reciproco senza fine? E poi me lo spiegate come li teniamo due metri di distanza? Avete presente cosa sono i comportamenti incontrollati e incontrollabili di soggetti con problemi comportamentali? Avete idea che spesso questi soggetti devono essere accompagnati in bagno, imboccati, gli si deve pulire il naso, starnutiscono senza avvisare... Vogliamo parlare dei trasporti? Abitualmente nel nostro caso si spostavano su pulminetti da 9 posti, 7 ragazzi disabili, l’autista e l’educatore. Per il problema delle distanza non è più consentito, quindi, come facciamo? Un autista, con un educatore e un disabile non essendo congiunti non possono stare sulla medesima auto, avete forse qualche suggerimento su come spostarli questi ragazzi? Ma voi politici, avete idea di cosa significa avere a che fare con un disabile? Io credo proprio di no, perché magari voi avrete anche messo tanta buona volontà nell’emanare provvedimenti ma a mio parere la ciambella non è riuscita col buco. Perdonate lo sfogo, ma questo periodo continua ad essere molto duro ed è duro per me che ho 50 anni, godo di buona salute e sono abituata a correre sempre, non voglio nemmeno immaginare quale sia la condizione di molte famiglie con figli tanto tanto impegnativi e genitori anziani. In questi tre mesi, ho assistito inerme, alla perdita quotidiana di quelle piccole conquiste raggiunte con anni e anni di fatica, ho visto negli occhi di mia figlia lo smarrimento dato dalla perdita improvvisa di tutti i suoi punti di riferimento, ho visto peggiorare il suo stato senza poter fare nulla nonostante gli sforzi, non so se riusciremo a tornare alla «nostra normalità», non so quanto tempo servirà e non so nemmeno se recupereremo quanto perso, me lo auguro e lo auguro a mia figlia perché non è giusto che in un mondo che urla a gran voce che nessuno sarà lasciato indietro, di fatto proprio chi ne ha più bisogno abbia pagato uno dei prezzi più alti.

// Annalisa Stizioli
Nuvolera
Cosa possiamo rispondere a mamma Annalisa? Il suo grido di dolore è condiviso da tanti altri genitori, tante altre famiglie. Se davvero non vogliamo lasciare nessuno indietro, urgono disposizioni e provvedimenti coerenti. (n.v.)

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