I migranti, l’Europae noi tra catastrofestoria e politica

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Recentemente ho riletto il libro di Charles A. Kupchan titolato «La fine dell’era americana» - dove si può leggere anche la fine che farà l’Europa se continuerà l’invasione di africani come quella attuale, tenendo presente che in Africa ci sono dei Paesi dove la popolazione in soli 25 anni diventa il doppio. Se l’Europa non respingerà anche con la forza questa invasione sarà sommersa e cancellata dalla Storia, così sostiene il libro già citato. La prima vittima sarà l’Italia dove già oggi il 10% degli abitanti non è italiano. Nelle città italiane ci sono già oggi dei quartieri dove abitano degli stranieri, legalmente o illegalmente dove gli italiani sono una minoranza. Se non si ferma al più presto questa invasione entro la fine di questo secolo o forse anche prima ci saranno delle città italiane dove gli italiani saranno una minoranza. La Guardia Costiera italiana si chiama così poiché dovrebbe controllare e difendere le nostre coste e non diventare la Croce Rossa del Mediterraneo. Non è tollerabile che navi straniere scarichino nei porti italiani migliaia di clandestini invece di portarli a casa loro dopo il salvataggio. L’Italia è l’unico Paese in Europa con strutture speciali per i minori non accompagnati che genitori incoscienti spediscono in Italia via mare o via terra (rotta balcanica) in Italia. Ogni minore costa ai Comuni italiani che li ospitano cento euro ogni giorno. I sindaci italiani hanno già dichiarato che non sono in grado di sostenere queste spese. Le promesse elettorali di Giorgia Meloni sono una chimera (vedi blocco navale promesso) - anche lei non durerà a lungo, poiché dal 1946 ad oggi in Italia, nessun Governo è durato per cinque anni!
Marzio Zizioli
Brescia

Gentile lettore, al di là delle previsioni «catastrofiste» riguardo all’Europa espresse da Charles Kupchan, con il quale non ho né titoli né competenze per potermi confrontare, mi limito a considerazioni di ordine generale sugli assunti esposti che esprimono legittime e diffuse preoccupazioni, ma anche evidenti forzature. La prima. Sul tema migranti si sono cristallizzate ormai, su base politico-ideologica, posizioni conflittuali che stentano a trovare terreni di confronto e di dialogo per operare interventi effettivamente sostenibili e ragionevoli, in modo da contenere anzitutto gli effetti negativi del fenomeno migratorio: le migliaia di vittime in mare (22mila morti dal 2014 secondo l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni) da un lato, e la difficoltà, dall’altra, di garantire un’accoglienza e integrazione appropriate agli stranieri che, in modo regolare o meno, sono nel nostro paese. Risulta comunque difficile parlare di invasione di fronte a poco più di 100mila persone in rapporto ai 60 milioni di abitanti della Penisola - di un numero, cioè, che è più o meno la media degli italiani che ogni anno dal 2006 al 2022 sono emigrati all’estero. E che espressione bisogna allora usare per la Polonia quando con l’invasione dell’esercito russo ha accolto un milione e mezzo di profughi dall’Ucraina? Né le Ong con le loro navi hanno fatto da «scafiste», come le si accusa, se i dati più recenti dicono che hanno «salvato» il 10 per cento circa dei 100mila migranti sbarcati. Quanto all’evoluzione demografica, che taluni paventano sia una deliberata politica di sostituzione etnica, bisognerebbe approfondire la storia e l’antropologia non solo del Mediterraneo, ma più in generale del popolamento del pianeta fin dall’alba dell’uomo. Il «meticciamento» non è forse una delle dinamiche demografiche storicamente più diffuse, e in fatto di sostituzioni etniche gli europei non hanno nulla su cui riflettere, per esempio riguardo alle Americhe? Del resto, se non si vogliono rivivere certe tragedie epocali, credo che non possano essere nuove forme di apartheid o di progrom le possibili soluzioni. Per questo ritengo d’obbligo

riflessioni meno «aggressive» e più approfondite sia per far fronte a un problema che non può più essere considerato un’emergenza temporanea, sia per avere maggior ascolto ed autorevolezza nell’impegnare i partner europei a condividere gli interventi immediati e quelli a più lungo termine. Ed è ancor di più d’obbligo nei giorni in cui ricordiamo

(si veda a pagina 5)

la strage di migranti del 3 ottobre 2013 nelle acque di Lampedusa. (g.c.)

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