I «bei tempi» di una volta esistono ancora

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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«Ai bei tempi» di una volta, gli adolescenti più scapestrati erano quelli che, sentendosi ormai grandi ed emancipati, cessavano di frequentare l’oratorio ma, tutto sommato, continuavano ad essere dei bravi ragazzi, rispettosi e seri, seppur non si vedevano mai a messa. Poi, nella generazione successiva, parliamo sempre dei ragazzi più scapestrati, essi, oltre a non frequentare più messa e oratorio, per distinguersi dagli altri, si riempivano in continuazione la bocca di bestemmie, usate come abituale intercalare nelle loro frasi spesso frammentate e sconnesse, bestemmie adoperate anche talvolta come fragoroso e sonoro segno di saluto ai propri simili. Per i frequentatori di quei gruppi, infatti, essere salutati da una grossa bestemmia, sembrava mettere subito tutti di buon umore e a proprio agio. Ma, erano, tutto sommato, ancora bei tempi. Oggigiorno, sotto la continua spinta dell’evoluzione, gli «adolescens sapiens» che non frequentano più messa e oratorio, oltre a bestemmiare, si dimostrano totalmente refrattari a quelle che loro considerano le petulanti voci degli educatori, sempre a ripetere in tutte le salse gli stessi valori. Quali valori? (per loro). Ed ecco che parecchi di loro, dalle parole sono passati ai fatti (come si legge spesso nei resoconti di cronaca), malmenando volentieri sia coetanei che adulti e anziani (in questo sono davvero democratici), con la convinzione di fare opera meritevole, a fin di bene, per insegnare ai non aggiornati e disadattati come si sta oggi al mondo. Convinti, insomma, dal loro punto di vista, essendo muniti di senso di maturità largamente depotenziato (per colpa di chi?) di svolgere nella società odierna una meritevole e doverosa opera educativa. Che tempi, mamma mia. Muteranno in meglio? Sperom de’ se !
Daniela Farina

Cara Daniela,

coraggio. In senso letterale. Un poco di forza d'animo e di sguardo che proviene dal cuore, che sa vedere oltre ciò che sembra, che appare.

Un invito che rivolgiamo per primi a noi stessi, poiché passata una certa età nessuno è esente dalla tentazione di osservare con diffidenza ciò che accade, che cambia, notando le differenze tra generazioni invece di quanto hanno in comune.

Così pure i mali d’un tempo ci sembrano meno malvagi («bei tempi»), mentre della realtà attuale cogliamo più ombre che luci («che tempi!»). E il resoconto di singoli episodi incresciosi diventa nella nostra testa la regola, lo standard, facendo di tutta l’erba un fascio e cedendo al pessimismo, a uno scenario a tinte fosche.

Proviamo allora, sempre insieme, a cambiare lenti agli occhiali.

Cerchiamo di fare mente locale sui molti aspetti positivi dei ragazzi e delle ragazze di oggi; delimitiamo il perimetro delle nostre osservazioni parziali, spesso ridotte ai fatti eclatanti che finiscono sul giornale; ricordiamo che, agli occhi di chi ci ha preceduto, pure noi quando eravamo giovani risultavamo diversi, non adeguati, senza valori.

In questa enorme ruota che gira e che chiamiamo vita, cara Daniela, l’unico modo per non invecchiare male è quello di continuare a stare al passo. Ciò non significa scimmiottare chi ha trenta o quaranta o cinquant’anni di meno, bensì mantenere la lucidità per comprendere le differenze e relativizzarle. Sapendo che da chi ci ha preceduto siamo stati educati con l’esempio ed è con l’esempio che possiamo a nostra volta aiutare chi è ragazzo a crescere. E i tempi muteranno in meglio se i primi a cambiare atteggiamento saremo noi. (g. bar)

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