Giustizia ha vinto. Ma che sofferenza per un padre

Lettere al direttore
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8 maggio 2025. Roma. Corte di Cassazione. Per tre ore ascoltiamo quattro abilissimi avvocati che, con scaltra prodezza, cercano di addurre tesi ben orchestrate per ribaltare le sentenze del Tribunale di Brescia che hanno condannato i due tedeschi colpevoli di aver travolto e ucciso con il loro motoscafo, il 19 giugno 2021 sul Lago di Garda, Umberto e Greta. Mentre gli avvocati cercano di dimostrare, con indubbia abilità, l’innocenza dei loro clienti, io mi sento avvolgere da una tristezza infinita. Mio figlio Umberto e Greta, due ragazzi innocenti, non ci sono più e i colpevoli dell’omicidio cercano di uscirne completamente puliti grazie alla potenza economica che permette loro di assoldare quattro avvocati di grido? Qui l’unico che vorrebbe gridare sono io, ma il mio grido resta soffocato dentro. Usciamo dall’aula. Sono sconfortato. Due dei legali mi avvicinano e mi stringono la mano. «Complimenti - dico ironicamente - se un giorno avrò bisogno di un bravo avvocato saprò a chi rivolgermi». Non ce l’ho con questi uomini. Per loro è solo lavoro: devono difendere i loro clienti. A tutti i costi... e chissà a che costi! Il sole splende sulla città eterna. Mentre attendiamo il verdetto della Cassazione attraversiamo il Ponte che porta il nome di mio figlio Umberto e arriviamo in Piazza San Pietro giusto in tempo per vedere la fumata bianca... fumata bianca non solo per il neo eletto Pontefice, ma anche per noi che, poco dopo, apprendiamo la conferma delle sentenze bresciane. Colpevoli sono e colpevoli restano anche per la legge, i due tedeschi. Che poi, se anche la giustizia umana avesse dato ragione agli abili avvocati e ai loro mandanti, non sarebbe cambiato nulla, nella sostanza, perché niente riporterà in vita Umberto e Greta ma, e c’è un grande grandissimo ma, quando la giustizia fa giustizia, un senso di gratitudine cala su tutto insieme alla certezza che si possa ancora credere in un mondo migliore.

Enzo Garzarella
Papà di Umberto

Caro Enzo, abbiamo letto le sue parole come avrebbero fatto gli uomini d’un tempo: togliendoci il cappello. Noi un cappello non lo portiamo, ma il senso di rispetto è identico. In un giorno di trepidazione e gioia, qual è stato a Roma ieri l’altro, lei ha dovuto affrontare l’ennesima prova di dolore e coraggio. La compostezza delle sue parole - e in particolar modo la frase finale - descrivono la sua persona meglio d’un libro e ciò rende onore tanto a lei quanto alla memoria di Greta e di suo figlio Umberto. Un abbraccio e grazie per ciò che ci ha insegnato. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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