Giornalisti, modi di dire e lingua italiana maltrattata

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Perché i giornalisti (fortunatamente non tutti, ma sicuramente molti) adottano e diffondono, passivamente ed acriticamente, forme di espressione verbale linguisticamente e semanticamente scorrette introdotte da politici o «esperti» o altri giornalisti ignoranti o presuntuosi?Perché è diventato ormai di uso corrente l’uso del pronome «gli» (maschile singolare) al posto di «loro» (plurale maschile o femminile)? Perché si abusa del termine «problematica» (= insieme di problemi) al posto del più semplice e spesso più appropriato «problema?». Perché la diffusione smodata ed immotivata di «in qualche modo?». Perché l’uso ormai dilagante di «come dire?» viene addirittura spesso usato in testi scritti, nei quali non hanno alcun senso gli intercalari verbali («cioè», «diciamo così», ecc.) che hanno solo lo scopo di «prendere tempo» per valutare meglio le parole da usare. Perché «trovare la quadra?». Si riferisce forse alla «quadratura del cerchio» espressa in modo rozzo ed errato da un ignorante? Perché i giornalisti televisivi di reti nazionali non vengono scelti, come si faceva una volta in Rai, anche in base ad una correttezza linguistica e di dizione, il più possibile scevra di inflessioni ed espressioni dialettali? Le «persone» sono pronunciate «pezzone», «forse» diventa «fozze»; ma allora come pronunceranno il termine «Carso?». Perché gli estremisti islamici vengono definiti «islamisti» quando il temine «islamista» significa «studioso dell’Islam?». Perché gli inviati dei telegiornali spesso iniziano il loro servizio con «Come hai detto te...?». Perché dilaga la confusione fra congiuntivi e condizionali? Il livello di istruzione e di acculturamento richiesto ad un giornalista dovrebbe essere almeno tale da evitare tali obbrobri linguistici, grammaticali, semantici, sintattici, che anche una semplice istruzione scolastica di base potrebbe consentire di individuare ed evitare. O quanto meno che qualcuno glie (maschile singolare) lo dica! (ai giornalisti, maschile plurale!!!) Chi le risponde, gentile lettore, è un antigiornalista per vocazione (almeno per quanto riguarda il linguaggio), giornalista per professione... e se vuole una terza parola che finisce in «one», la aggiunga pure. Ma lei ha enumerato, lo ammetta, un po’ alla rinfusa tutte le pecche del cosiddetto linguaggio giornalistico. Che hanno in comune un solo, tragico peraltro, aspetto: la commutazione immediata (intendo in senso letterale: senza passaggi intermedi) del parlato nello scritto. Di un parlato che spesso non è passato attraverso il canale indispensabile, quello del pensiero. E magari tutto ciò riguardasse solo una categoria: invece dall’osteria alla scuola, il guaio è endemico. Il problema è che la lingua si trasforma da sempre: un tempo avveniva al ritmo degli amanuensi (un ritmo che è comunque bastato a trasformare il latino nei vari linguaggi il cui coacervo è poi divenuto l’italiano); la stampa ha fornito la prima accelerazione; l’avvento dei giornali, con la loro necessità d’immediatezza, ha portato la seconda; le tecnologie, dalla tv in poi, hanno creato un uragano. Molto di quel che non ci piace, dovremo accettarlo: seguiamo l’esempio di Manzoni e di un passaggio secondo me epocale che è quello delle modifiche apportate ai Promessi Sposi nell’edizione del 1840 rispetto a quella del 1827. Il simbolo è un «S’assise anch’egli» in un più fluido «sedette anche lui». E poi, per favore, non mettiamo insieme l’influsso delle pronunce locali con l’improprio uso (o non uso) del congiuntivo; gli svarioni con gli intercalari, eccetera. E, soprattutto, non mettiamo nel calderone espressioni come «gli» ,usato al plurale invece di «loro», ormai accettate da tutti i grammatici dello Stivale. Del resto, quel «gli» è pur sempre un termine mediato dal latino («eis» al plurale, «ei» al singolare, cioè il dativo del pronome «is»). Ah, sì: sul mio dizionario Treccani vedo pure accettato «islamista» nel senso di «estremista islamico»... (g. a.)
Giovanni Bellini Brescia Uno alla volta, per carità.

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