Generalizzare e criminalizzare è un errore

AA

Leggo sul Suo giornale del 13 febbraio l’articolo pubblicato in prima pagina, nel quale si riferisce che le cosche mafiose usano «... il mouse al posto del mitra, il commercialista invece del killer, mentre i summit fra cosche si svolgono dal notaio ...». Nella mia qualità di presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti tengo a sottolineare che l’affermazione, nella sua genericità, coinvolge ingiustamente l’intera categoria professionale, accreditando nel cittadino lettore la percezione che i commercialisti siano al servizio del malaffare. Vorrei ricordare che la responsabilità penale è personale e che semmai taluni professionisti si siano prestati, volontariamente o inconsapevolmente, a fornire consulenza o prestazioni ad organizzazioni criminali, non per questo l’eventuale collusione di alcuni si può trasformare nella responsabilità di tutti. Nell’evidenziare invece come molti commercialisti collaborino professionalmente con la magistratura segnalo anche che gli organi di disciplina professionale sono attenti a sanzionare, con misure adeguate, quando vi sono le prove, la condotta illecita dei colleghi. Con l’occasione, mi pare opportuno sottolineare che, sebbene l’Ordinamento professionale preveda che la Procura della Repubblica segnali agli organi disciplinari, pur nel rispetto della segretezza delle indagini, l’avvio di iniziative giudiziarie per illeciti commessi dai colleghi, assai spesso i fatti sono appresi soltanto da notizie di stampa, sovente troppo generiche e lacunose. Intendo rassicurare che l’Ordine professionale cerca di adempiere con attenzione alle funzioni anche disciplinari che gli sono attribuite dalla legge e se ha tempestiva e formale notizia degli illeciti, adotta i provvedimenti disciplinari più opportuni, che come noto, possono condurre, nei casi più gravi, alla cancellazione o alla radiazione dall’Albo professionale.

// Michele de Tavonatti
Ordine Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili Brescia
Gentili presidenti, l’efficacia dell’incipit dell’articolo indicato non è una escamotage giornalistica bensì la trascrizione letterale delle parole del sostituto procuratore Paolo Savio al summit dell’Antimafia promosso dal prefetto Visconti: nessuna generica accusa alle categorie professionali bensì l’evidenza di una mutazione del fenomeno mafioso che a Brescia - e al Nord in generale - non agisce con gruppi di fuoco bensì con registri contabili, investimenti, prestiti e speculazioni finanziarie. Sarebbe come ritenere che quando si parla di malasanità si vuole criminalizzare l’intera categoria dei medici o se si affronta il tema della fake news a sentirsi offesi dovessero essere i rappresentanti delle categorie dei giornalisti. Nel summit dell’Antimafia è stato chiamato in causa anche il mondo dell’impresa («l’imprenditoria è sensibile ai servizi offerti dalla criminalità organizzata con la quale è in dialogo») ma non per questo gli imprenditori si devono sentire offesi come categoria. Né è stata risparmiata la Pubblica amministrazione, «cieca e silente all’ombra grigia degli appalti». Più che la difesa d’ufficio, serve la presa in carico del problema che - al netto delle responsabilità penali che sono sempre e solo individuali - investe tutti. Ecco perché anche la vostra voce è di grande interesse. Se siete disponibili ad un confronto, il GdB offre la sua Sala Libretti per tornare a discutere della questione con tutte le parti in causa. (n.v.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia