Fosse Ardeatine e quella poesia scritta 40 anni fa

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Sono passati quasi quarant'anni, tanto è il tempo trascorso da quando fu stampata una mia poesia sulle pagine di questo giornale, scelta tra quante furono inviate da vari istituti scolastici in occasione dell'anniversario della rappresaglia alle Fosse Ardeatine. Il periodo era marzo, in uno speciale dedicato alla commemorazione dell'atroce eccidio avvenuto a Roma il 24 marzo 1944 e perpetrato nei confronti di centinaia di civili e militari italiani quale spietata ritorsione per la uccisione, avvenuta il giorno prima, di soldati nazisti. La poesia, vado a memoria, recitava così: «Con i partigiani presi i fascisti camminavano per i vicoli. La gente li guardava passare e aveva negli occhi una paura folle. Avrebbero voluto gridare ma dalle loro bocche mute non usciva una parola. I passi si allontanarono, il caricamento dei fucili inquietò i partigiani che guardavano per l'ultima volta il cielo e la vita. Pian piano sussurravano una preghiera. Gli spari echeggiarono, un colpo di mitraglia finì tutto e con un gemito caddero a terra, come papaveri». L'agghiacciante episodio che mi sconcertò allora, ancora oggi a pensarci mi commuove. Tuttavia mi trovo a riflettere per qualche istante sul numero di primavere passate, letteralmente volate, dalla quella pubblicazione. Non quaranta giorni, nemmeno quaranta mesi ma quaranta anni. Il tempo, temuto antagonista e nel contempo compagno affidabile, corre più velocemente di quanto riusciamo a comprendere, tanto da sembrare innaturale. Non appena ci fermiamo un momento per renderci conto di dove stiamo andando o dove siamo arrivati, scopriamo che è ormai tardi per cambiare qualcosa, rimanendo spesso disillusi ed impotenti. Una cosa, però, non muta tanto rapidamente quanto gli anni che paiono inseguiti dall'eternità ed è il nostro discernimento; egli procede più similmente al nostro passo anche se è presumibilmente destinato ad accrescere proprio con il loro trascorrere. È ineluttabile ma è altresì una straordinaria caratteristica tutta umana, così vera che dopo quasi quattro decenni, ormai volatilizzati, riscriverei le stesse frasi di allora parola per parola. L'anima ed il cuore, appunto, camminano piano e maturano lentamente, come grappoli sul filare della vita, riscaldati dal sole dell'esperienza. La coordinazione, solo apparentemente distorta, tra loro e gli anni che passano potrebbe rivelarsi una formula (ce ne fossero di ancora più efficaci!) per tentare di rallentarlo un po' e tenerlo stretto a noi questo tempo, questo volubile compagno di viaggio che pretende sempre di volare via come fa un aquilone che il vento insiste a volere strapparci dalle mani per portarlo con sé.

Giuseppe Agazzi
Rovato

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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