Essere sordo non significa gesticolare Sappiatelo, grazie

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Vorrei rispondere alla signora che da questa rubrica ha invitato i sordi a usare i segni rivolgendomi direttamente a lei. Gentile signora, sono una donna sorda oralista nata nel 1980. Per legge non esiste più da svariati anni il termine sordomuto perché chi è nato sordo negli ultimi 40 anni ha potuto accedere ai progressi tecnologici (protesi sempre più sofisticate, impianti cocleari), diagnostici (diagnosi precoce nel bambino) e riabilitativi (tecniche di logopedia e musicoterapia): il sordo una volta era muto perché non poteva in nessun modo accedere al mondo dei suoni e, quindi, non poteva apprendere il linguaggio parlato che avviene per imitazione. La LIS è uno strumento meraviglioso, che purtroppo non conosco, ma non è l’unico strumento e, anzi, i sordi oralisti sono molto più diffusi dei sordi segnanti e paradossalmente ancora più discriminati: chi segna viene visto e anche in qualche modo tristemente compatito (l’ignoranza è ben radicata), chi invece parla no, fa anzi la parte di persona distratta e maleducata («non puoi essere sordo, parli! Se non sei muto allora non è vero che sei sordo!»). Invece di esortare i sordi a segnare, io voglio esortare tutti a essere più empatici verso l’interlocutore: non possiamo sapere il bagaglio personale di una persona, cerchiamo quindi di essere sempre disponibili. Il che implica, per esempio, parlare sempre in modo chiaro, senza bofonchiare o biascicare. Io non ho nessun problema a riprendere il mio interlocutore, nemmeno se è uno sconosciuto: do rispetto ma lo esigo anche e, purtroppo, incontro troppo spesso persone che parlano in modo quasi incomprensibile, perfino nel settore sanitario e perfino da parte di operatori del settore che ben dovrebbero sapere come relazionarsi a un sordo. I ragazzi sordi sono i più soggetti a bullismo a scuola (anche io ne ho fatto triste esperienza) perché non viene loro perdonato di non aderire allo stereotipo ottocentesco del sordo che gesticola, possibilmente brutto e un poco ritardato. Le cose sono ben complicate: il fatto di essere di aspetto gradevole e magari di prendere buoni voti a scuola, crea un certo disorientamento perché, purtroppo, siamo tutti a parole per il riconoscimento delle pari dignità e diritti delle persone, ma di fronte alla disabilità scatta spesso un sentimento di timore e rifiuto. Sembra che inconsciamente si accetti la disabilità purché il disabile se ne stia buono in uno spazio di dipendenza dal normo dotato e non entri in competzione con lui. Pensi che a me, ancor oggi, capita in continuazione di sentirmi dire, come se fosse un complimento, «non si direbbe che sei sorda, sei così bella, parli così bene, sei architetto». Cerchiamo quindi di aprire la mente e capire che, così come non ci sono solo i ciechi ma anche gli ipovedenti (e anche loro, quante spiegazioni devono dare agli ignoranti!), parimenti la maggioranza dei sordi è invisibile perché parla perfettamente grazie a sacrifici, logopedia e tempo impiegato in età infantile a educare la voce. I sordi oralisti, proprio perché si confondono coi normoudenti, se non rispondono al cliché sopra citato vengono tacciati di mentire: io sono stata più volte accusata di non essere sorda, di inventarmelo, perché non si vedeva il mio handicap. Non è una cosa che capita solo a me, ma è diffusa tra tutti i sordi oralisti: dobbiamo continuamente combattere contro gli stereotipi e ottenere ragione del proprio stato. Eppure basterebbe semplicemente che l’interlocutore parlasse mostrando la bocca senza dare le spalle e senza sparare a macchinetta le parole a ritmi eccessivi. Io rivendico anche per i sordi oralisti il diritto a essere visti, riconosciuti. Rivendico il diritto all’accessibilità piena alla comunicazione, per tutti, perché tutti sanno leggere ma pochi conoscono la LIS. Rivendico il diritto ai sottotitoli al cinema (io non posso andare al cinema con mio figlio o con gli amici perché passerei due ore a sentire suoni senza senso), sottotitoli alla televisione (non posso guardare nulla alla tele perché i sottotitoli sono praticamente inesistenti), tabelloni e monitor aggiornati in tempo reale nelle stazioni, aeroporti, sale di attesa; rivendico la presenza di stenotipia o sottotitolazione in tempo reale alle conferenze, rivendico audioguide nei musei che si colleghino al bluetooth dei moderni apparecchi acustici o la loro trascrizione gratuita per i sordi. Rivendico il diritto di tutti di poter accedere a ogni informazione e ogni spazio della cultura e della socialità: questo non è possibile ghettizzando. Si ghettizza, anche involontariamente, impedendo a determinate categorie di accedere a contenuti e, al proposito, ricordo che vi sono vari tipi di sordità, compresi quelle che insorgono in età adulta, oppure c’è chi non sente i suoni gravi, chi ha perso gli acuti. Senza nulla togliere al valore della LIS, ritengo azzardato proporla come soluzione. Io propongo invece una molteplicità di strategie che abbiano come obiettivo quello di non escludere nessuno dalla socialità, dalla cultura, dalla informazione. I sostenitori della LIS farebbero ai sordi un servizio davvero pessimo se si battessero esclusivamente per creare canali che escludono chi la LIS non la conosce. La vera meta da raggiungere è l’inclusione di tutti. Aggiungere divisioni non va bene.

// Francesca Feroldi
Gussago
Gentile Francesca, la ringrazio per averci spalancato una finestra su un mondo sconosciuto alla maggior parte di noi. La signora che, nonostante l’età, ha voluto accostarsi al linguaggio dei segni, divenendone un’entusiasta promotrice, credo sia stata mossa da un’evidente buona fede, convinta di promuovere a suo modo l’inclusione di tutti alla socialità, alla cultura, alla informazione... Del resto, Francesca, lei stessa ci dice che vi è una molteplicità di strategie per raggiungere l’obiettivo della non esclusione, ed è una pluralità che di sicuro stimola ognuno a dare il meglio, seguendo itinerari diversi, per raggiungere alla fine una meta comune, e un bene comune, come l’inclusione delle persone sorde. (g.c.)

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