Escluso dalla gita Amarezza e rabbia di una mamma

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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È con profonda amarezza, mista ad una rabbia che non dà pace, che mi trovo costretta a chiederle un po’ di spazio per raccontare ciò che di incredibile e, nello stesso tempo, inaccettabile è successo a mio figlio autistico. Jacopo frequenta la classe prima di una scuola secondaria di primo grado. Pochi giorni fa ho saputo che i suoi compagni di classe hanno effettuato un’uscita didattica (rafting sul fiume Oglio), mentre lui è rimasto a scuola. Non ero a conoscenza di tale uscita perché mi era sfuggito l’avviso online sul registro elettronico, ma nessuno dei suoi professori ha pensato di condividere con me la possibilità che Jacopo potesse parteciparvi. Alla mia richiesta di spiegazioni la risposta è stata, cito testualmente: «Non si era preso in considerazione che l’attività potesse essere adatta a lui». È semplicemente inaccettabile una risposta simile. La nota Miur 645/02 sostiene che organizzare un viaggio d’istruzione non accessibile per uno studente disabile sarebbe un evidente atteggiamento discriminatorio. A Jacopo è stato negato a priori il diritto di poter vivere un momento «altro», diverso rispetto alla quotidianità delle mura scolastiche. Non è difficile immaginare quanto dolore tale episodio abbia generato in famiglia. Un’ultima considerazione, ma non meno importante: lasciando Jacopo a scuola, mentre i suoi compagni uscivano, quale messaggio educativo, o meglio dis-educativo, la scuola ha trasmesso ai ragazzi normotipici? Lascio i lettori liberi di trovare la loro risposta. Mi è costata molta fatica emotiva espormi con questa lettera, ma tacere di fronte ad un’ingiustizia equivale ad essere complici. E io non posso permettere che tale discriminazione possa ripetersi in futuro.
Chiara Tinti
Corzano

Cara Chiara,

comprendo quanta fatica emotiva le sia costata e - parimenti - ammiro l’audacia di esporsi, di «non tacere».

Lo ammetto candidamente, non senza un filo rosso di vergogna: non so se avrei fatto lo stesso. Il coraggio non si acquista al mercato, né per titolo accademico.

Sul resto, condivido il lasciare liberi i lettori di trovare risposta alle domande che pone. Io, nel mio piccolo, mi limito a una preghiera, affinché questa lettera non diventi un’occasione di scontro, un braccio di ferro tra famiglia e scuola.

Sarebbe bello che per una volta, invece di imbastire una sorta di tribunale in cui si contrappongono accusa e difesa, si prendesse per assodato che quanto successo non può esser sanato e che l’unico modo attraverso cui dal male nasca il bene è che simili episodi non si ripetano.

Che poi credo sia il senso intimo della sua lettera: sensibilizzare, fare in modo che la superficialità nel giudizio o un eccesso di distrazione comportino in futuro altre ferite per i molti Jacopo che frequentano con la loro differente ricchezza la nostra scuola.

È un cammino lungo, cara Chiara, però il suo è un passo gigante, che fa intravedere la meta a portata di sguardo. (g. bar.)

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