Esclusa dallo stage soltanto perché sono una donna
Sono una ragazza che frequenta l’ultimo anno dell’Istituto Tecnico Agrario Statale «G. Pastori», a cui, poche settimane fa, è stata offerta l’opportunità di un colloquio lavorativo. Il mondo del vino mi ha sempre incuriosita (grazie papà di avermi trasmesso questa passione) ed al termine del secondo anno di superiori la mia preferenza non poteva che ricadere sull’articolazione «Viticoltura ed Enologia». Il docente coordinatore di classe è stato chiamato da una nota azienda vitivinicola in Franciacorta, poiché necessitava di giovani da formare per gestire il vigneto in essa presente. Entusiasti, io ed altri 3 miei compagni (tutti maschi) abbiamo dato i nominativi, numeri di cellulare ed indirizzo email, poiché la ditta ci avrebbe contattato dopo pochi giorni, al fine di fissare un colloquio. I giorni passano ma di quella chiamata neppure l’ombra. Una mattina Marco, un mio compagno, mi chiese se avessero telefonato anche a me il giorno prima. Sbianco. «No, nessuna chiamata». «Chiara non preoccuparti, vedrai che ti contatteranno nel pomeriggio; chiamano me che ho una media molto inferiore alla tua e non sono capace a parlare inglese, vuoi che non telefonino anche a te?». Dopo 5 giorni di attesa mi reco dal docente contattato; magari ho sbagliato a trascrivere il numero, forse si è dimenticato di fornire anche il mio di nominativo... Alla richiesta di spiegazioni la sua risposta fu: «La ditta mi ha chiesto espressamente di fornire nominativi maschili». Non ci fu una risposta da parte mia. Se fossi stata un ragazzo avrei avuto più competenza, professionalità o preparazione? Fino ad ora, quando sentivo parlare di discriminazione femminile in ambito lavorativo, la vedevo come una realtà ben distante da me. Non avrei mai pensato che il fatto di produrre gameti femminili avrebbe significato essere inferiore rispetto ad un altro essere vivente che i gameti li produce maschili. Proprio riferendosi ad una scuola, questa azienda avrebbe dovuto essere più che mai imparziale, anche solo per far capire a noi giovani che il mondo lavorativo non è proprio così terribile come sembra. Questa piccola brutta esperienza non mi ha sicuramente fermata, anzi, sono ancora più convinta del fatto che essere donne è qualcosa di meraviglioso e nonostante ciò che mi è successo non rimpiango di essere nata con una coppia di cromosomi X. Se il mio nome fosse stato Paolo, Mattia o Luca avrei avuto un’opportunità. Io invece mi chiamo Chiara.
// Chiara BrembatiBrescia
Brava Chiara. Orgogliosamente Chiara. Non sei tu che non vai bene per quest’azienda. È lei che non va bene per te. E - aggiungo - non dovrebbe andare bene neppure alla tua scuola. Non demordere: chiusa una porta, per te si aprirà un portone. Facci sapere. (n.v.)
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