Educazione alla sessualità. Perché serve

Educazione sessuale vietata fino alla scuola media, è scontro tra maggioranza e opposizione. Sasso: «Non è censura». Schlein: «Deriva oscurantista della destra». Di Andrea Carlino la Commissione Cultura della Camera ha approvato un emendamento che vieta l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, limitandone la possibilità alle scuole superiori e solo previo consenso scritto dei genitori. La misura, inserita nel disegno di legge presentato dal governo, ha scatenato un aspro confronto politico tra maggioranza e opposizione. Il sempre attuale e controverso argomento dell’educazione si ripresenta con un tema alquanto bollente: l’educazione sessuale ed affettiva come prevenzione dei femminicidi. Ne è nata una questione politica perché si sa che l’educazione porta i futuri uomini e donne votanti. Da una parte ci sono coloro che spingono per un educazione sessuale precoce come prevenzione al retaggio culturale della «patria potestà» intesa come giusta sottomissione femminile. Dall’altra, una cautela a trattare certi argomenti, in attesa di una maturità affettiva per poterli affrontare. Il nostro governo giustifica la sua scelta come tutela dell’infante e la mancanza di personale formato sull’argomento. Su questo si potrebbe aprire un capitolo a parte perché la formazione dei docenti è un tasto dolente nelle nostre scuole. Avendo inserito l’obbligo della laurea si è ampliata la formazione contenutistica ma non certo quella emotivo-affettiva che viene sempre lasciata sotto il tappeto. La formazione personale è soggettiva di quei pochi educatori e insegnanti che lavorano con coinvolgimento. Viene da chiedersi, allora, cosa c’entri questo discorso della formazione con l’attuale dibattito dell’educazione sessuale. È la base direi io. Educare alla sessualità non è insegnare cosa comporta l’atto sessuale in sé, non almeno nella manifestata prospettiva di tutelare la violenza di genere. Educare alla sessualità è avere occhi e orecchie per interventi adeguati in atteggiamenti e relazioni che sono campanelli d’allarme. È favorire il movimento fisico per conoscere il proprio corpo, le proprie sensazioni ed emozioni e imparare a rispettarle. È favorire conversazioni con scambi di idee e pensieri dettati da un tempo adeguato e ben gestito. Educare alla sessualità non può quindi essere ridotto ad un programma predefinito con inizio e una fine, e non può essere racchiuso in qualche obbiettivo contenutistico. È molto di più, è crescere una generazione del rispetto, nei modi, nelle parole e nei gesti, qualsiasi sia l’elemento che richiami tale rispetto!
Maria ParmigianiCara Maria, l’argomento è tra i più scivolosi, poiché diventato terreno di scontro nell’arena politica, dove va di moda non trovare una sintesi, bensì alzare barriere, scagliare lance ed agitare clave, da una parte e dall’altra. Non volendo imitare Ponzio Pilato e avendo altresì somma fiducia nel giudizio di ciascun lettore, proviamo a dire la nostra, cercando di non farci trascinare nei cavilli e puntando a chiarire ciò che ci importa. Che è questo: che i nostri figli crescano rispettando se stessi e gli altri, avendo consapevolezza dei propri istinti e delle regole che la comunità si è data affinché libertà e responsabilità procedano a braccetto, mai l’una senza l’altra. Per far ciò non bastano norme o conoscenza, occorre una vera «educazione», non ristretta ad un ambito, né delegata, bensì che coinvolga tutti. Per primi i ragazzi e le ragazze con le loro famiglie, ma anche scuole di ogni ordine e grado, chiesa, gruppi sportivi, opinione pubblica... Nessuna censura dunque, bensì attenzione e cura. (g.bar.)
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