Ecco perché sono così importanti i medici di famiglia

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Ho letto l’articolo a proposito di invecchiamento e fragilità del dottor Renzo Rozzini pubblicato il 19 agosto dal vostro quotidiano, che leggo e apprezzo ogni giorno.

Concordo pienamente sulla complessità dell’approccio e della cura di un paziente che, anche solo per l’avanzare dell’età e ancor più per mancanza di rete famigliare e sociale, ha «bisogno» di attenzione e cura.

Chi se non un semplice medico di medicina generale che preferisco chiamare ancora «medico di famiglia» perché questo è, nel corso di quatant’anni di cura riesce a stabilire una relazione che va oltre l’interpretazione dell’esame ematochimico e/o strumentale, ma entra nella storia del paziente, della sua famiglia (ho curato ben quattro generazioni) e dei suoi desiderata rispetto al proprio futuro?

Certo, la consulenza e il parere dello specialista e in particolare del geriatra è un valore aggiunto, ma la relazione continuativa, in ambulatorio ma spesso a casa del paziente, è opera del medico di famiglia. Dopo quarant’anni di condivisione di gioie e dolori riesce a convincerlo, insieme ai suoi famigliari, per una ristrutturazione di un bagno non adeguato per la sua situazione di salute o riesce a consigliare e ottenere la presenza di una persona (badante) che possa prendersi cura di lui/lei in quanto fragile e complesso e magari riesce anche a parlare con un famigliare che il paziente non vede da anni e a ricostruirne il rapporto perso.

Non credo sia il peso della documentazione che il paziente porta con sé a definire come poterlo aiutare, bensì il peso di quei lunghi anni in cui i suoi bisogni sono diventati più numerosi e il peso dell’oggi e del domani sempre più incerto.

Questa è la mia esperienza di «medico di famiglia».
Dr.ssa Grazia Rinaldis
Medico di famiglia

Cara dottoressa,

la sua esperienza è pure la nostra, che dei «medici di famiglia» ci fidiamo, avendone avuti sempre di assennati, disponibili, competenti professionalmente e soprattutto profondamente umani. Perciò ci spiace quando sentiamo esperienze negative, di chi non riesce ad averne uno «di fiducia» o che si trova di fronte un burocrate. Nella sanità che cambia, tenerne conto e partire da lì, dalla «base», deve essere un imperativo innanzi tutto per i «formatori» dei nuovi medici, affinché al di là della preparazione scientifica, badino alle qualità personali. Così come, parimenti, occorre un giusto equilibrio tra medicina generale e specialisti, figure complementari e non interscambiabili. Questioni culturali, insomma, prima che tecniche, ed è per questo che le trattiamo volentieri. Sapendo che la salute è un concetto ampio e, per prendersene davvero cura, devono fare la loro parte tutti. Pure noi pazienti. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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