Ecco la giornata di uno specializzando che fa il tappabuchi

Sono uno specializzando di uno dei più grandi centri ospedalieri del Nord Italia, in particolare di Brescia, e presto il mio servizio in un reparto chirurgico. Sono arrivato ad un punto in cui tutte le scelte che ho fatto finora vengono messe in discussione, in nome di qualcosa di più grande, ossia l’integrità psicofisica di una persona, che ha scelto di fare il medico. Spesso ci si lamenta del fatto che le strutture pubbliche sono quasi al collasso, per la carenza di specialisti. Sono arrivato ad una conclusione, forse è proprio quello che tali strutture si meritano. Noi specializzandi, soprattutto di branche chirurgiche, percepiamo una borsa di studio che, al netto delle spese universitarie ed assicurative, si attesta intorno ai 1.500 euro mensili (arrotondando per eccesso). Questo può sembrare uno stipendio più che dignitoso, considerando i sacrifici fatti per arrivare fin qui, se non fosse per il carico di lavoro a cui siamo sottoposti. La giornata tipo si svolge più o meno secondo questi orari, ore 8: la giornata ha inizio, alcuni di noi in sala operatoria, altri in reparto, altri in ambulatorio ed altri di guardia. Ore 13: sarebbe ora di pranzo, ma la cosa non ci riguarda, si continua a svolgere le mansioni della mattinata, a ritmi frenetici, per garantire la massima efficienza e ridurre al minimo i rischi di errori. Ore 16: riusciamo a ritagliarci uno spiraglio per prendere un caffè al volo, sgranocchiare qualcosa al volo dalle macchinette e poi si torna, con lo stomaco vuoto, alle attività che si erano lasciate in sospeso. Ore 18: si dovrebbe cominciare a terminare il lavoro e prepararsi per il rientro, ma noi no, si continua con le scartoffie, le programmazioni, le dimissioni, le consulenze e chi più ne ha più ne metta. Ore 20 i più fortunati se ne tornano a casa, per i meno fortunati si possono anche fare le 21. Ma non è tutto: in quanto medici in formazione, dobbiamo anche studiare, per diventare dei bravi specialisti, e spesso siamo coinvolti in progetti di ricerca scientifica e trial clinici, il che si traduce in ulteriore tempo da dedicare alle attività di reparto. E quindi un panino al volo intorno alle 22 e via con l’elaborazione di grafici e tabelle per terminare il tanto agognato articolo da pubblicare entro cinque giorni sul Nejm. E lo studio teorico della materia? Beh, ce n’è di tempo, la notte è così silenziosa e rasserenante che può essere un’ottima soluzione. Per i più sonnolenti invece, che vogliono dormire le loro 4 ore ogni notte, rimane sempre la domenica, spesso l’unica libera, in cui dedicarsi allo studio individuale. Tirando le somme abbiamo raggiunto facilmente le 12 ore in un giorno, ma questo si ripete per i restanti giorni della settimana. Calcolando che non copriamo solo turni diurni ma di media anche turni diurni e turni festivi (solitamente 2 weekend al mese) calcoliamo circa 70 ore settimanali, che diventano 280 ore mensili. Queste rapportate al nostro compenso si traducono in una paga di 5 euro all’ora. Sono sincero, qualche dubbio circa il percorso intrapreso mi sorge: ne vale davvero la pena specializzarsi in Italia? È giusto che noi medici specializzandi, aspiranti chirurghi, dobbiamo essere i primi ad arrivare e gli ultimi ad abbandonare l’ospedale, ma senza sfociare in complessi ingranaggi di sfruttamento. Il nostro contratto di formazione prevede 36 ore settimanali, per garantire che le restanti ore vengano dedicate allo studio della nostra prediletta branca specialistica. Invece spesso siamo costretti a coprire turni massacranti, per carenza di personale, spesso con il fine di tenere in piedi la baracca (leggasi il reparto) e non con l’obiettivo formativo. Questo si traduce in possibili errori, dovuti a stanchezza o incapacità effettiva nelle mansioni, senza considerare il lato emotivo: frustrazione, abnegazione e rabbia hanno la meglio sull’entusiasmo che anni fa ci ha fatto scegliere di fare i medici. Ne vale davvero la pena sacrificare la propria vita, affetti, amici, relazioni, passatempi e sonno per inseguire il sogno di specializzarsi? Forse è proprio per questo che mancano specialisti, anzi ringraziamo i pochi che rimangono perché se non fosse per loro saremmo allo sbando. Ed in tutto questo le associazioni di categoria, i sindacati ed il governo dove sono? Non esiste una scuola di specializzazione a norma in tutta Italia, in cui venga rispettato, almeno in parte, il nostro contratto. Noi specializzandi siamo i tappabuchi di un sistema fallato, sfruttati ed impiegati per coprire le perdite di questo grande ingranaggio ed a farne le spese, oltre al Ssn ed alla qualità del servizio, siamo noi, le nostre vite, la nostra integrità psicofisica ed i nostri famigliari.
// Lettera firmata Possibile? Il grido di dolore di questo medico specializzando (al quale noi affidiamo la nostra sorte in caso di bisogno) è meritevole di attenzione e di suscitare anche empatica indignazione. Covid o non Covid, la Buona sanità deve partire da qui, dal prendersi cura di chi cura. Altrimenti difficilmente avrà modo e tempo per prendersi cura degli altri, cioè di tutti noi. (n.v.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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