Donne separate tra solitudine e tanta paura
AA
Sento la necessità di fare il punto a modo mio sul problema violenza alle donne.La mia è «ormai» (non è un termine esatto) una storia passata perché sono trascorsi anni da quando ho vissuto l’esperienza terribile di essere a rischio vita con i miei due bambini ma non è scordata. A distanza di anni ancora sto male e mi impaurisco a parlare di padri e/o mariti con cattivi propositi per vendetta dall’essere stati lasciati. La mia è una storia fotocopia a quasi tutte le altre, solo che negli anni 80 una donna che lasciava il marito era una pazza specialmente se lui era stato sempre un padre «esemplare». Infatti qui volevo arrivare per dire che non sempre è necessario subire violenze fisiche o minacce in un rapporto di coppia anzi... quelle possono essere un certificato esempio di violenza per accendere attenzione al rischio. Esistono comportamenti vessatori e terribilmente autoritari (specialmente sui figli) senza che vi siano violenze fisiche di alcun tipo (ben più dannosi!). Per questo una separazione è da considerare sempre uno strappo, per colei che si sente vittima è «liberatorio» ma per colui che ne è carnefice è una «sconfitta» spesso un affronto e purtroppo in altri casi non è capito. Qui nasce la reazione che è sempre proporzionale alla percezione dell’intensità dell’affronto subito. Credo di avere sfiorato per giorni e giorni il rischio tragico che spesso balza alla cronaca di essere «punita» subendo aggressioni verbali, pedinamenti a distanza, inseguimenti in auto, appostamenti fuori dalla mia nuova casa (lo sapevo armato perché aveva un porto d’armi e delle stesse ne aveva parlato ai figli). Fin qui, tutto da sola, ho sempre cercato di farmi forza e ho continuato a condurre la mia vita di mamma e di donna che doveva pur lavorare per vivere senza alcun aiuto economico perché quell’«esemplare padre» così definito dai suoi legali, come prima vendetta ha applicato il «non pago» naturalmente. Non proseguo nei dettagli, agli altri poco importa di ciò che è stato, ma ho la necessità di concludere dicendo con il senno di poi, che mi rendo sempre di più conto, che manca un tassello, il punto nevralgico è che: abbiamo una realtà istituzionale che non sa muoversi in aiuto alle problematiche di questo tipo. Consultori effimeri con operatori impreparati o poco, che lavorano solo per percezioni e non approfondiscono i reali ruoli degli attori in dissonanza. Assistenti Sociali con ruoli spesso decisionali per relazioni che esprimono gratuiti giudizi e sono cattive consigliere dei giudici di tribunale che altrettanto vivono il loro ruolo apparente con atteggiamenti o critici o compassionevoli ma non tecnici e competenti. Centri d’ascolto che sono limitati nell’operare. Dichiaro questo a ragion veduta e non in forma gratuita, per ribadire che spesso non è sufficiente rassicurare la parte fragile dicendo che la legge è dalla sua parte, spesso sono i punti difficili da far accettare all’altro che ovviamente sa solo reagire con la violenza. Negli anni potrebbero essere migliorate le cose ma la cronaca mi ha fatto riflettere e dubitare che sia cambiato qualcosa. Ancora insisto per dire che dopo tanti anni ho constatato che rinunciando a ciò che avrei dovuto avere per i miei figli per diritto è servito a sedare le ire ed il «padre esemplare» si è volatilizzato. Per le ragioni sopracitate non vi è altra soluzione che quella di scegliere il minor male per la vita e per la qualità della stessa. Un giorno la società saprà scegliere addetti ai lavori competenti e noi mamme non dovremo fare rinunce per poter continuare ad essere serene. Per ora è un’utopia lo so ma vorrei concludere che la mia è stata un’esperienza di una vita intera con un risultato alquanto positivo: ragazzi bravi, laureati, con un lavoro serio trovato senza le raccomandazioni di un «padre esemplare» e che un giorno saranno altrettanto padri e mariti che non useranno la violenza di alcun genere perché la loro mamma ha fatto sì che non la stessero a subire da piccoli.
Lettera firmata
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