Disagio sociale Quanto ce n’è in centro a Brescia

Lettere al direttore
AA
Il centro storico di Brescia è da sempre la mia casa; da trentatré anni vivo la sua splendida realtà, con i suoi cambiamenti ed evoluzioni costanti. Ammirare i suoi scorci e le sue particolarità, provare un’emozione per un luogo dove serbare ricordi sono le motivazioni che mi hanno spinto nel tempo a scegliere di continuare a viverci e a lavorarci. Impagabile, per me, la comodità di abitare in una città totalmente a misura d’uomo, dove in 10 minuti di camminata raggiungo il mio posto di lavoro, e al ritorno dopo una lunga giornata ritrovo conoscenti, amici, negozianti, ristoratori con i quali scambiare un sorriso o un semplice saluto, come ad intendersi che siamo qui, ed ora, una piccola ma forte comunità. Mi è sempre piaciuto passeggiare da sola, giorno o notte che fosse, anche nelle zone del centro storico più «critiche», e mai mi è successo di provare angoscia o paura. Ultimamente, però, mi sono accorta che qualcosa nella mia città è cambiato, e ciò ha portato un cambiamento anche nel mio atteggiamento. Mi capita (ormai lo posso dire) spesso di cambiare marciapiede perché vedo una persona sospetta camminare verso di me; mi succede di variare strada se in lontananza scorgo un gruppo di ragazzi alterati con bottiglie in mano. Quelle poche volte che salgo in auto prima ancora di appoggiare la borsa sul sedile del passeggero mi chiudo dentro. Ieri sera ho subito un’aggressione; fortunatamente senza grossi danni, ma riassumendo brevemente, mentre entravo con l’auto nel cancello di casa (a un centinaio di metri da Piazza della Loggia) un ragazzo (che vedo molto spesso in giro, sempre aggressivo e alterato) ha iniziato a prendere a calci e pugni la mia auto senza alcun motivo. Ho avvertito le forze dell’ordine, nella speranza che siano intervenuti (ormai il ragazzo se n’era andato per la sua strada) prima che quella stessa persona potesse riservare lo stesso trattamento a una persona a piedi, o in bicicletta. Mi sento onesta a riflettere sul fatto che quello che è accaduto a me non è più un’eccezione, ma la regola. Mi guardo in giro e noto che nella mia città è aumentato drasticamente il disagio sociale; se prima gli emarginati (inserisco in questa categoria tossici, accattoni, barboni, mendicanti, venditori abusivi, scippatori) quasi si potevano contare sulle dita di una mano, adesso pare che siano diventati talmente la normalità che non si notano nemmeno più.
Benedetta
Cara Benedetta,
un po’ è cambiata la città, un po’ siamo cambiati anche noi, che ci sentiamo assai più insicuri e basta un episodio per disorientarci, per trasformare la preoccupazione in paura, il sospetto in angoscia.
Usiamo la prima persona plurale, il «noi», non per convenzione, bensì perché ciò che prova lei è comune, lo avvertiamo pure sulla nostra pelle.
Per questo, due sono gli appelli che ci sentiamo di rivolgere.
Il primo è rivolto alle autorità, affinché non ignorino l’allarme sociale (a questo proposito, abbiamo apprezzato il richiamo della sindaca Castelletti, che sul tema di sicurezza ha ricordato che garantirla significa prendersi cura dei più deboli, dei più fragili, a cominciare dalle donne, dai bambini, dagli anziani).
Il secondo invece è a noi stessi, perché il comprensibile timore non venga ingigantito, trasformando ogni ombra in mostro, costringendoci in una gabbia che alla lunga ci costruiamo da soli. (g. bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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