Disabilità, tema da affrontare con intelligenza

Ieri era la «Giornata internazionale delle persone con disabilità», questo appuntamento si ripete ormai ogni anno dal 1981 e ha lo scopo di promuovere i diritti e il benessere delle persone disabili. La giornata non può e non deve però riguardare solo chi vive questa situazione, i loro famigliari o le associazioni e i volontari che operano in questa realtà. Infatti la disabilità nel suo insieme tocca e coinvolge tutti. Quando si parla di disabilità non si parla infatti di «abili» o di «disabili» ma piuttosto di persone che hanno diritti e doveri in quanto cittadini di questo Paese, a prescindere dal loro status. Troppe volte il disabile è commiserato e attraverso questa commiserazione, che è una forma di pietismo, viene discriminato perché non riconosciuto per ciò che lui è, ma per la disabilità che vive. Questo appuntamento ci dà l’occasione di riflettere che occorre passare dalla compassione al rispetto, per maturare un senso di giustizia sociale che ci vede tutti uguali. Di più, non basta integrare le diversità, bisogna andare oltre: è necessario creare condizioni di normalizzazione, di autentica inclusione. Occorre fare spazio alla ricchezza insita nelle singole diversità adeguando le città nelle quali noi tutti viviamo ad ogni specifica singolarità. Questo nella consapevolezza che la disabilità è sì un limite fisico individuale, ma lo è ancor di più in termini sociali nella misura in cui le città continuano ad essere architettonicamente pensate per i cosiddetti «abili». Certo, in questi ultimi anni sono stati fatti passi in avanti, si sono affrontate e in parte migliorate alcune delle situazioni dalle quali i disabili erano esclusi, emarginati, o almeno relegati in spazi angusti: la scuola, il lavoro, la mobilità. La politica, sempre più schizofrenica sui rapporti interpersonali e sociali, non può e non deve abbassare la guardia perché, come diceva Zygmunt Bauman: «La qualità di una società dovrebbe essere misurata a partire dalla qualità della vita dei più deboli tra i suoi membri». Per poter però veramente fare un passo avanti è necessario modificare l’atteggiamento culturale sulla disabilità. Per fare questo, oltre alle famiglie, devono sentirsi impegnati su questo versante tutti gli agenti formativi ed educativi presenti sul territorio. Occorre che tutti prendiamo coscienza di cosa significa essere disabili o vivere quotidianamente con persone disabili. A dover cambiare è la percezione della condizione di disabilità. Infatti, manca spesso l’idea stessa di questa condizione, manca la consapevolezza del vissuto dell’altro. Al centro di questo cammino è allora fondamentale la presenza attiva della scuola. Per la sua funzione educativa oltre che formativa per le nuove generazioni, e perché in tanti casi è essa stessa il primo luogo di socializzazione al di fuori della famiglia. Sicuramente un grande passo avanti ci sarebbe se dopo il 3 dicembre si potesse parlare di disabilità con leggerezza, così come la intendeva Italo Calvino: «Prendere la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore». Questo è il mio augurio.
// Oscar TuratiRezzato
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