Delusione di un figlio, impotenza di un genitore

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Quel giorno mio figlio tornò a casa esultando e mi disse abbracciandomi: «Papà ho finalmente un posto di lavoro ed un contratto di 1 anno». Nei suoi occhi ed in quelli di mia moglie incredula c'era una luce che non avevo più visto da molto tempo. Quella notizia mi sembrava un miracolo, sentii un nodo che mi stringeva la gola e feci fatica a mascherare la mia emozione. Dopo due anni dalla laurea conseguita al Politecnico di Milano in 5 anni con la votazione di 108/110 nella specialità di Interior Designer, quello era il suo primo vero posto di lavoro con tanto di contratto in un negozio di fiori. Dalla laurea fino a quel giorno si era adattato a fare 100 lavori: cameriere, disegnatore, estetista, florvivaista e nel frattempo aveva inviato 1000 curricula e nonostante un Erasmus di studi a Bruxelles durato 6 mesi e la conoscenza di 3 lingue parlate e scritte, presenza ed ottima dialettica, nessuno ha dimostrato interesse per la sua specializzazione, disponibilità ad imparare, di sacrificarsi, di dare ed apprendere. Ma per apprendere ci vuole qualcuno che sappia e che voglia insegnare ed oggi pochi sono disponibili a farlo.

Insegnare costa e noi anziani che ancora ricopriamo i posti chiave del lavoro siamo poco disponibili ad insegnare loro ed a lasciare a loro il passo. Temiamo che ci sorpassino con il loro sapere aggiornato ai tempi moderni, che ci mettano da parte, siamo così egoisti e stolti che non ci accorgiamo di far del male a loro ed a noi stessi nel medesimo tempo. Andrea è andato a lavorare da Montichiari a Brescia in bus da novembre a dicembre per 45 giorni esatti con entusiasmo, voglia di fare, di emergere, di far notare il suo stile ed il suo gusto con puntualità anche 10 ore al giorno e quando richiesto anche nei giorni festivi. Ma quando le ultime festività son finite ed i fatidici 45 gg di prova son terminati è terminata anche la sua illusione…è stato lasciato a casa, passata la festa passato il santo ed anche l'illusione di quel posto di lavoro è svanita. Che delusione per lui e per noi genitori!

Nel guardarlo ora attaccato a quel benedetto computer per cercare qualcosa da fare come un naufrago scruta se vede la terra mi fa pena. Ma ancora di più peno io a pensare al suo futuro, forse non ho fatto abbastanza per lui e dentro di me ho anche il dubbio che questa penosa situazione sia anche causa mia e della società che tutti abbiamo contribuito a costruire pensando molto a noi stessi e poco al futuro dei nostri figli. Questo probabilmente è il conto che la società che abbiamo sfruttato ci presenta lasciando ai nostri figli solo le briciole di una società ansimante e priva di valori veri.
Giancarlo Calubini
Montichiari


«Duemilacredici». Così è stato ribattezzato l'anno nuovo appena cominciato. E non è l'invito ottimistico di chi attende buone nuove all'orizzonte; quanto piuttosto la considerazione amara di quanti hanno smesso di credere in un futuro migliore per aggrapparsi a un presente precario.
E sono soprattutto i giovani (e anche io sono giovane, anche se più fortunata) ad aver esaurito le scorte di speranza, sacrificate per affrontare lavori saltuari e mal pagati e immolate a curricola disdegnati. Non bastano più titoli di studio, spirito di sacrificio e buona volontà per ottenere un lavoro. Qualsiasi lavoro. Impieghi di fatica, purché arrivi uno stipendio. Alla faccia dei lunghissimi studi, delle esperienza maturate all'estero, di ogni tipo di disponibilità: a orari massacranti, lunghe trasferte e stipendi minimi.

Lo sanno i ragazzi e lo sanno i loro genitori, che impotenti si ritrovano ad assistere alla morte precoce dei sogni. E quanto può essere difficile per un padre e per una madre aiutare un figlio a non perdere la speranza? Loro che gli hanno insegnato a parlare, camminare e leggere e poi l'hanno sostenuto negli studi. Sicuri, come tutti, che il cammino di un'istruzione specializzata avrebbe condotto a una professione certa. Un traguardo che, fino a qualche anno fa, era l'approdo naturale di un percorso di crescita. Garante di maturità e indipendenza. Le ferite che la disoccupazione infligge a un giovane uomo, a una giovane donna, sono scritte negli occhi della sua famiglia. Al genitore cui tocca il compito di supplire ciò che la società ha smesso di fornire: la speranza che ci siano strade da percorrere, che esista un approdo all'orizzonte. A papà e mamme di questi nostri giorni grigi tocca l'impegno straordinario di tornare a nutrire i figli con quel bene così prezioso che è la fiducia. In se stessi e in un nuovo mondo da costruire. «Duemilacredici». Sul serio.

Ilaria Rossi

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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