Da mamma e medico dico: più spazi in Neuropsichiatria

Sono una mamma e un medico. In poco tempo mi sono ritrovata in una dimensione lontana da quella che pensavo essere la mia realtà. Sei mesi fa osservando mia figlia cresceva in me un sospetto che poi è diventato diagnosi: anoressia nervosa. In poco tempo la situazione è precipitata sino al ricovero in neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza. La neuropsichiatria è un reparto dove si concentrano tanti disagi dei nostri ragazzi. Ognuno con la sua storia e con il suo percorso. L’impatto è stato forte. È stato difficilissimo prendere consapevolezza della diagnosi di anoressia nervosa di mia figlia, è stato difficilissimo comprendere il meccanismo di una patologia così ambivalente e tutt’oggi talvolta ancora mi sfugge. Ma in questa disperazione la professionalità, l’empatia e la disponibilità dell’équipe medica guidata dalla Prof. Elisa Fazzi e il conforto e sostegno del personale paramedico sono stati di grande aiuto. Ad ognuno di loro va il mio personale ringraziamento. A mio parere, però, il loro agire è molto condizionato ed anche limitato dalla struttura di un reparto a vecchia concezione con estrema scarsità di ambienti adeguati. Mancano spazi necessari per i colloqui tra i medici e i giovani pazienti, mancano aree comuni in cui condividere momenti di aggregazione, manca uno spazio dedicato ai pasti assistiti. Ad oggi in un’unica sala avvengono i briefing del personale medico, i pasti assistiti ed le attività ricreative! Manca inoltre uno spazio per le attività scolastiche. Sono sì attive le lezioni per ogni ordine di scuola, straordinaria opportunità per garantire ai ragazzi sia un legame con quella che è la loro quotidianità, sia per garantire loro il diritto all’istruzione anche in un momento di sofferenza; vi è però una totale mancanza di spazi dedicati alle attività didattiche e alla gestione dei materiali scolastici, le lezioni si possono svolgere in qualsiasi area del reparto in quel momento siano esse stanze di degenza o anche corridoi. Bisogna considerare inoltre che i pazienti essendo minori sono accompagnati da un genitore quindi la mancanza di spazi diventa ancora più evidente. Concludo interrogandomi su come possa essere possibile che adolescenti che attraversano un momento di fragilità, ed in questo periodo storico i numeri sono sempre più in aumento, sebbene assistiti da un’équipe medica che dedica loro tutte le cure e le attenzioni necessarie, debbano vivere lunghi ricoveri in una struttura del tutto inadeguata alle loro esigenze, e tutto ciò nella ricca provincia di Brescia. Come mamma e come medico mi chiedo se sia questo il trattamento da riservare ai nostri ragazzi, in questo momento fragili, che saranno gli adulti di domani.
// Lettera firmata Gentile lettrice, le considerazioni esposte con pacatezza e competenza meritano di esser prese seriamente in considerazione, come del resto ha fatto a più riprese anche il nostro giornale. Questo anche alla luce di una specifica constatazione sotto gli occhi di tutti: l’aumento negli ultimi anni dei disturbi neuropsichiatrici nei giovanissimi (da qui il relativo «intasamento» dei reparti deputati alla cura e all’assistenza a chi ne soffre). A questo punto, occorrerà forse immaginare e sperimentare anche altre strade che per ora sono per lo più solo sulla carta, proprio per non produrre indesiderati effetti-boomerang sui ragazzi assistiti. (g.c.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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