Cresima senza padrino nel lontano '38
L'11 maggio del 1936, pochi giorni dopo che Mussolini annunciava all'Italia e al mondo l'entrata delle truppe vittoriose in Addis-Abeba e la conquista dell'impero, da San Polo nostro paese natìo la nostra famiglia si trasferisce nel comune di Roncadelle. In San Polo, dopo la morte della nostra povera madre abbiamo vissuto un lungo periodo di privazioni e di rinunce e incredibili sofferenze.
In conseguenza di ciò non fui in grado di sostenere l'esame di quarta elementare e persi l'annata. Il 26 luglio successivo, giorno di Sant'Anna, nostro padre dopo oltre cinque anni di vedovanza, forse al fine di riunire la famiglia è convolato a seconde nozze. Sei mesi dopo, l'11 novembre successivo altro trasloco nel territorio di Passirano. Il paradosso della nuova residenza era che distava ad oltre cinque chilometri da quel comune e parrocchia, mentre distava a meno di cinquecento metri dal comune e dal centro di Ospitaletto. Era chiamata la via Vallosa, a sud dell'autostrada. In virtù di tale situazione fummo costretti ad avvalerci dei servizi scolastici e religiosi di Ospitaletto.
Fu dunque durante la frequenza dell'oratorio nel 1937 che l'allora arciprete don Giulio Gatti mi chiama per dirmi che avendo superato gli undici anni e non prevedendo per altro periodo la venuta del Vescovo in quella parrocchia, m'invitava a seguire, in privato presso lui stesso, delle lezioni al fine di adempiere al Sacramento della Cresima l'anno successivo presso la parrocchia del vicino comune di Castegnato.
Tale ricorrenza si verificava nella festività di San Vitale, patrono di quella parrocchia. Sottostai pertanto alla dovuta preparazione e al giorno convenuto mio padre si dovette recare al lavoro, assicurandomi però di aver ottenuto il permesso per presenziarvi col padrino, un suo compagno di lavoro certo Simonini Pietro da Provaglio d'Iseo dipendenti entrambi della «Caffaro» di Brescia. M'invita pertanto a farmi trovare all'esterno della chiesa di quel paese, che lui, con l'amico sarebbe giunto per tempo. Da solo, a piedi con un paio di scarpette di pezza mi porto a Castegnato, non conosco quel paese e pertanto percorsi diversa strada sbagliata per rintracciare la chiesa.
L'inizio della cerimonia era previsto per le ore 11, alle 10 e trenta anche se un po' sfiancato per previsto digiuno, mezz'ora prima ero sul posto.
Difatti gruppetti di persone in festoso ciarlìo vi convenivano ed io restavo in attesa di mio padre col previsto padrino, mi trafelo a guardare a destra e a manca, la cerimonia inizia, nessuno; vi entro e vi esco una decina di volte disturbando la calca, ma inutilmente. Tutti i cresimandi hanno al fianco il loro padrino, io niente, i cresimandi si pongono a semicerchio presso l'altare, sempre più stressato e ansimante vedo concludersi il rito, smarrito, da solo, reo e in colpa come un automa mi presento da solo per ultimo.
Il presule mi guarda, nota probabilmente che mi sento perso, alfine mi chiede il nome e il rito si compie anche per me. Piagnucolando ritorno tra la calca con gli occhi sempre al pavimento, pieno di vergogna aspetto la fine della cerimonia.
Finisce finalmente, la calca si scioglie e tutti ritornano alle loro case, riguardo smarrito e speranzoso in ogni dove, inutilmente. Come un sacco vuoto devo riaffrontare a piedi i chilometri del mattino. Giungo verso l'una all'incrocio Sant'Antonio Pianora, sulla statale mi volto verso la città qualora, seppure in ritardo, arrivino gli amici; nulla, quando dall'interno della vecchia Osteria Sant'Antonio posta all'incrocio, odo uno schioccare di bocce, mi chiedo se fossero mai per caso i miei amici, vi entro, supero il locale vuoto, esco sul retro e noto due uomini che si sfidano e mio padre in funzione d'arbitro... Li avrei pestati a morte...
Mi avvicino e incredibilmente mio padre mi chiede come mai mi trovassi là, col poco fiato che mi restava gli rammentai della Cresima... Lo vidi digrignare i denti in una smorfia e, quasi per scusarsi mi offre un calice di vino rosso, avevo bisogno di ben altro ma in un sacco vuoto ci stava e lo trangugiai. In un baleno mi trovai euforico e trovai l'ardire di comunicare a mio padre che avevo anche fame, sparì per poco e vi fece ritorno con un bel panino frammezzato con una scaglia di stracchino, lo divorai e ne avrei bramati almeno altri tre o quattro e vi bevvi dietro un altro calice di vino. Verso le cinque mi sentii risvegliare sopra una panca e notai che all'atto dei saluti uno dei giocatori sborsò all'altro ben cinque scudi dei vecchi Aquilini di cinque lire cadauno e altri cinque pagati per le bevande di gioco. Ripartiti, caricato sulla canna della bici di mio padre, quello che ci seguiva era, dunque, il mio virtuale padrino Pietro Simonini. Per fortuna mio padre, nota schiappa del gioco di bocce, si era limitato a fare il cosiddetto siòr altrimenti avrebbe preso una batosta peggiore e durante la via del ritorno, stonato come un vecchio trombone aveva intonato «La bella Romanina» invitandomi pure a darle fiato.
Giunti in via Vallosa, nostra abitazione, il buon Simonini senza fermarsi ci diede un solenne ciao e non lo rividi mai più, la sera mi rifocillai con una bella scodella di minestra e mi riportai a passar la notte nel fienile presso il contadino che vi ero occupato quale famiglio da qualche mese, onde trovarmi alle prime luci dell'alba ad accudire al bestiame che vi ero vincolato. La mia paga era costituita dal vitto e per Natale del '38 potei sfoggiare un bellissimo paio di zoccoli in legno ai piedi per la mia dedizione ai comandi, ostentandoli felice alle ragazzine del villaggio.
Ferruccio Ferrari
Travagliato
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