Cosa insegna la storia dell’infermiere che lascia il lavoro

Siamo i genitori di un giovane infermiere dell’Ospedale Civile di Brescia. Il 28 marzo per nostro figlio è stato l’ultimo giorno di lavoro presso questa struttura; ha infatti dato le dimissioni ad inizio mese dopo un periodo di circa un mese e mezzo di malattia ricondotto dal Medico che lo ha in cura ad una condizione di forte burnout. O. era entrato in servizio il 20 marzo 2020, uno dei tanti ragazzi a cui era stato offerto di laurearsi con qualche anticipo per andare a coprire una carenza di organico negli ospedali evidenziatasi con l’approssimarsi del «mostro» Covid. Ha iniziato in Pre-triage ed ha svolto successivamente il proprio servizio nel Reparto Covid della famosa Scala 4 fino alla sua chiusura. In questi tre anni ha vissuto insieme a tanti colleghi i momenti della confusione, della paura, dell’indeterminatezza e dell’affanno. Nello stesso tempo ha vissuto quelli degli operatori sanitari eroi, delle fotografie sui giornali, dei cuoricini disegnati sui vetri umidi per comunicare le proprie emozioni con l’esterno, dei mille ringraziamenti e dei ( promessi) riconoscimenti. Di questi tre anni intensi, di turni massacranti, di esperienze forti che hanno forgiato nel fisico e nella mente un ragazzo giovane che ha iniziato questa attività con tanta passione ed impegno rimane con queste dimissioni oltre alla soddisfazione di «esserci stato» anche un po’ di tristezza per un epilogo che avrebbe potuto essere forse diverso. Siamo certi come genitori che O., pur nei suoi limiti umani e caratteriali, si sia battuto bene e con grande disponibilità nell’attività che ha svolto. Ora pensando a chi gestisce queste risorse umane non sappiamo di quale pasta chiedano siano fatti i giovani che intraprendono questa particolare attività nei tanti luoghi di cura (Ospedali, Cliniche, RSA etc), non conosciamo inoltre le difficoltà gestionali ed organizzative alle quali occorre far fronte per mettere insieme i turni che garantiscono un’assistenza continua a chi è in stato di necessità. Di certo però sappiamo, lontani il più possibile da ogni spirito polemico, che questa dimissione come tante altre di giovani operatori sanitari che negli ultimi periodi hanno lasciato l’attività soprattutto con il pubblico è un po’ una sconfitta di un sistema che i giovani dovrebbe attrarli ed incentivarli anziché perderli. Scritto questo come genitori ora siamo a ringraziare i Medici, Infermieri e operatori sanitari tutti che in questi tre anni sono stati vicini a nostro figlio formandolo, supportandolo, stimolandolo, tutelandolo ed aiutandolo a crescere come persona ed a superare i momenti di grande difficoltà incontrati in questi periodi così difficili. Per lui infine un grande grazie per averci resi orgogliosi come genitori di quanto ha fatto in questi anni con impegno e dedizione riportando una frase di Madre Teresa di Calcutta : «I figli sono come gli aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto». Con affetto. Con l’augurio di un futuro pieno di belle cose.
// Mamma e papà Gentilissimi amici, non ha bisogno di particolari commenti quanto esposto «senza compiacimento e senza accanimento». Attesta una situazione di stress degli operatori sanitari nelle nostre strutture, di cui abbiamo scritto anche nelle scorse settimane, a proposito delle molte dimissioni che si registrano tra medici e infermieri. Ritengo importante che se ne parli e ci si confronti senza ipocrisie, per capire come da un lato dare continuità (di qualità) al servizio sanitario, e dall’altro garantire condizioni di lavoro «sostenibili» per chi lo deve far funzionare. Ma al tempo stesso occorre, ed è quello che ritrovo nelle parole dei due genitori, quel senso di umanità e anche di tenerezza (non sdolcinata) che consente alle persone di provare a capire gli stati d’animo e le sofferenze altrui, e al tempo stesso a darsi un sostegno quando si coglie la difficoltà o il disagio che l’altra persona o le altre persone stanno vivendo. (g.c.)Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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