Com’è possibile andare a scuola con un coltello?

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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L’episodio di violenza giovanile accaduto a Roè Volciano lascia semplicemente esterrefatti. Una ragazza che aggredisce accoltellandola una compagna mentre una folla di spettatori incitanti anziché intervenire fermando l’episodio riprende il tutto col cellulare... Ma stiamo impazzendo? Stiamo correndo il rischio di scambiare episodi di delinquenza allo stato puro con eventi di normale amministrazione. Com’è possibile che ci si rechi a scuola con un coltello? Com’è possibile non sentire la necessità di difendere chiunque sia in pericolo? L’indifferenza e l’accettazione di comportamenti disgustosi e contrari al normale quieto vivere fanno ormai parte integrante del mondo giovanile? Dove sono i genitori che dovrebbero indirizzare i propri figli sul binario del rispetto delle regole e della legalità? Sono ormai concetti obsoleti o dimenticati? Siamo dunque pronti per una manciata di like a mettere in pericolo la vita delle persone? Il mondo sta davvero peggiorando e il peggio è che i giovani (non tutti fortunatamente) non se ne rendono conto... Che tristezza.
Fabio Poddine
Rezzato

Gentile lettore, la tristezza e, accanto a questa, la preoccupazione sono i sentimenti suscitati dall’episodio di Roè Volciano, che - lo ricordiamo - rimanda ad uno analogo accaduto poco tempo fa a Gardone Valtrompia. L’aggravante - come è stato rilevato - è che la violenza gratuita che si scatena con troppa frequenza tra molti giovanissimi, è accompagnata da una diffusa indifferenza manifestata da tanti altri rispetto ad essa, come se fosse venuta meno la percezione del bene e del male. Ma non possiamo ovviamente fermarci qui. Gli adulti, le famiglie, la scuola devono fare la loro parte per «intercettare» con l’ascolto e l’attenzione i disagi e le distorsioni vissute dai ragazzi, e impegnarsi ad «allenare» le giovani generazioni ad assumersi responsabilità e ad imparare che distinguere il bene dal male non equivale ad omologazione. Qualcuno suggerisce la «tolleranza zero», e in taluni casi ci può anche stare. Sempre però che non significhi abbandonare i ragazzi ad un destino irreversibile di devianza o di emarginazione. (g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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