«Ci vuole poco» per guardare agli altri con occhi grati

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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È sabato e decido di andare in centro con mio figlio di pochi mesi prendendo la metropolitana. Scendo a Vittoria, salgo di un piano ma purtroppo non riesco a prendere l’altro ascensore che porta all’esterno perché fuori uso. Mentre decido il da farsi, incrocio gli occhi dolci di un ragazzo col cappellino rosa un po’ perso che bazzica attorno a chi sta facendo il biglietto, ciondolando in mano qualche moneta e forse in cerca di altre. Distolgo subito lo sguardo perché non mi importuni e mentre decido che il modo per uscire da lì sarà farmi aiutare da qualche buona anima del prossimo treno che arriverà, decido anche di dirigermi verso l’uscita laterale su Via Verdi perché più discreta e lontana da lui. Prendo tempo, non arriva nessuno, passano un paio di minuti e mi accingo verso alcuni adolescenti raccolti vicino al pianoforte: «Scusate ragazzi, posso chiedervi un favore? Mi aiutereste a portare il passeggino su per le scale?». Il primo a girarsi e col quale incrocio di nuovo lo sguardo è lui, col suo cappellino rosa, ed è lì probabilmente per arraffare qualcosa; si mostra disposto e non posso negargli l’aiuto offertomi, nonostante mi maledica di non averlo riconosciuto prima. Tengo l’ovetto di Giovanni, do la struttura del passeggino a lui e salendo le rampe delle scale spero che finisca tutto bene e che non mi provochi, gli chiedo se ce la fa, mi preoccupo che non sia troppo pesante e lo ringrazio molto per il gesto. Lui mi risponde solo tentennando un «Ci vuole così poco» e sono le sole parole che gli sentirò pronunciare, mentre io inizio ad avere meno paura e a farmi più dolce e distesa. Arriviamo a bordo strada, lo ringrazio ancora una volta e poi rispondo velocemente alle domande di una signora che nel frattempo si complimenta per il piccolino: voglio liquidarla in pochi secondi per poi dedicarmi al mio aiutante, per dargli qualcosa, anche solo un biglietto della Metro di cui magari ha bisogno, ma niente... mi rivolge un ultimo sguardo, probabilmente si aspetta qualcosa ma non osa chiedere. È questione di un attimo: forse mi vede presa e decide di ridiscendere le scale. Anche la signora ha notato quel gesto d’aiuto, ma quando mi congeda è troppo tardi per richiamarlo e io rimango colpita da questo ragazzo che se n’è andato in sordina senza aspettare ricompensa e senza pretenderla. Si merita qualcosa di più che qualche spicciolo, quindi vado a far cambiare i soldi e sono allo stesso punto di prima perché non posso lasciare mio figlio in cima alle scale per scendere a dargli il mio contributo. Passa il tempo e mi sento agitata, voglio assolutamente ricompensarlo in modo dignitoso. Quando arriva il mio compagno provo a scendere. La situazione si è ribaltata: prima speravo che quel ragazzo non mi importunasse, ora spero di ritrovarlo, che sia ancora lì. Non c’è più. Mi guardo attorno e realizzo che può essere andato ovunque. L’ho perso definitivamente e mi sento ormai impotente e demoralizzata. E allora penso che la città può insegnarci ad avere meno paura del diverso e che il bene più grande è quello che viene offe rto gratuitamente, come quel gesto del ragazzo col cappellino rosa che poi nulla ha preteso. Ho pensato tutto il pomeriggio a lui e a questa bella lezione di vita e di umanità. Gli auguro tanto bene e tanta fortuna mentre io, nonostante la mia volontà di ricompensa, continuo a sentirmi molto più povera di lui. Che Dio ti benedica, caro ragazzo col cappellino rosa.
Silvia Berna
Brescia

Gentile lettrice, leggo come un segno di speranza pasquale - nel giorno in cui celebriamo la Passione di Gesù - la manifestazione sincera dei sentimenti provati nel momento di difficoltà: dall’istintiva e pregiudiziale diffidenza verso un giovane «povero cristo», fino alla commossa riconoscenza che rimane però irrisolta inducendo un senso di disagio «costruttivo». Sì, costruttivo perché, appunto, diventa fonte di una vita e di un’umanità più piene, con occhi che imparano a guardare il mondo e gli altri avendo sperimentato una conversione del cuore. In fondo «ci vuole poco» davvero. (g.c.)

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