Chiedo perdono, ma il Natale m’è diventato un peso

Lettere al direttore
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Si avvicina il tempo natalizio e questo periodo, si sa, è atteso con gioia dai bambini e come si suol dire, da tutti, o quasi, gli uomini di buona volontà. Ebbene, tra quei «quasi» mi annovero mio malgrado anch’io (senza per questo scomodare Giuseppe Ungaretti). L’anno scorso per la prima volta ho declinato l’invito di essere ospitato dai miei figli in quanto è da tempo che non ho più voglia di festeggiare questa ricorrenza la quale dovrebbe portare a tutti solo gioia e serenità. La vecchiaia e conseguentemente l’accumularsi di ricordi lieti e meno lieti di persone che non torneranno più mi rendono triste e questo disagio non voglio trasmetterlo ai miei familiari, soprattutto in giorni come questi. Proprio non ce la faccio a portare con disinvoltura lo scettro di più «grande» della famiglia. Tuttavia questo luogo comune dell’anziano che invecchiando diventa triste non mi si addice. Posso dire senza smentirmi che nonostante le batoste ricevute non mi sono mai perso d’animo e la voglia di vivere, di cantare e di lavorare che serbo ancora non mi fanno sentire né vecchio né triste. In buona sostanza sto vivendo gli anni più sereni della mia vita. È solamente in questo periodo dell’anno «ché ma a be nient». Il Natale di una volta, (già, di una volta) era vissuto in ben altra maniera. Gli auguri in quei giorni venivano scambiati con una stretta di mano, un sorriso e qualche parola amichevole e non tramite messaggini con le faccine. Si stava a tavola più a lungo del solito e ci si parlava, si godeva per la vicinanza di persone a noi familiari. Niente telefonini, niente foto del cibo, niente sms. Le nostre donne, tre sorelle e la mamma riassettando la cucina scherzavano tra di loro, i bambini giocavano felici. Il caminetto acceso e il piccolo presepe erano parte del nostro Natale. Di tutto questo non è rimasto nulla, e men che meno la mia voglia di festeggiare. Questo periodo di festività mi rode come un tarlo e prima passa meglio è. Troppi i ricordi legati ad esso. All’epoca nella mia trattoria si festeggiava tra amici la vigilia di Natale e questo rito si è succeduto per svariati anni perché ritrovarsi insieme dava una gioia che non ho mai saputo spiegare. Ognuno di noi percepiva la differenza di «quella» notte. A mezzanotte ci si scambiava gli auguri, si poneva Gesù Bambino al suo posto nel piccolo presepe e sentendoci anche noi tornare bambini dicevamo: «stanot ghe nasit el Signur». L’amicizia, la voglia di vivere e di condividere tra noi quelle ore della vigilia e la gioia dello stare insieme erano impagabili. Gli immancabili problemi del vivere quotidiano di ognuno, in quella notte magica non trovavano posto tra noi, restavano chiusi fuori al freddo. Dicono che il tempo sia galantuomo, però nel suo lento e non sempre benevolo andare si è portato via la maggior parte di queste persone. Ogni addio che ho dovuto subire mi ha reso sempre più povero nei miei affetti. Ora ho solo il loro ricordo che mi tiene buona compagnia; a volte mi capita ancora di sentire il timbro della voce di ognuno di loro e scuotendo il capo, nonostante tutto, mi viene spontaneo sorridere.

Graziano Drera
Brescia

E no, caro Graziano, non può arrendersi. Tanto più che, per sua stessa ammissione, il ruolo dell’anziano triste non le si addice e ha tuttora voglia di vivere, di lavorare, di cantare persino. Senza mancarle di rispetto, ci viene da fare il verso al monito della capitaneria di porto al comandante in fuga dalla nave: «Signor Graziano, risalga a bordo! E accetti l’invito dei suoi figli...». Ha ragione da vendere, infatti, nel rimpiangere le voci e i tanti volti di chi non c’è più, tuttavia il dovere degli anziani non è soltanto di conservare memoria, ma pure di trasmetterla fattivamente, dando il buon esempio. Siamo consapevoli che costi fatica, però si è attraversato mille prove non invano ed è possibile custodire dentro il cuore amarezze e disagio, regalando invece mani tese, sorriso e quella «gioia di stare insieme» che è il vero senso del Natale. Oggi così come lo ha vissuto da bambino. Basta volerlo. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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