Chi parla troppo di sé rischia di rimanere solo

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Nel mio incontrare quotidianamente molte persone, ho notato che ultimamente, aumentano sempre più quelle cadute in una trappola mentale delicata che potrei definire di «socializzazione assoluta». Mi riferisco a chi parla solo di se stesso (sia nel bene che nel male). La persona che cade vittima di questa trappola spesso non ne è cosciente, ti parla continuamente di sé, delle sue fortune o dei suoi guai, comunque incessantemente di sé. È un interlocutore non facile da ascoltare e spesso può innescare un meccanismo di allontanamento in chi ascolta che rappresenta uno dei primi effetti collaterali seguito da insorgenza di antipatia e tattiche per evitare occasioni di incontro con questo soggetto. Molte volte dietro una grande insistenza nel parlare di un certo argomento o ideale personale a qualcun altro, è probabile che più che convincere la persona a cui ci si rivolge, in realtà si cerca di convincere se stessi e quando poi la trappola esplode nell’auto-flagellazione il risultato è un effetto amplificazione delle proprie paure fino a riceverne una conferma definitiva cadendo in uno stato d’ansia perenne. Questa trappola della «Socializzazione Assoluta» ha un copione sempre simile facilmente riconoscibile tant’è che a fronte della diagnosi e della sua presa d’atto da parte di chi ne soffre, si possono azzardare alcune traiettorie riabilitative tendenti alla «guarigione» o perlomeno alla capacità di gestire questa sindrome. Primo passo è di riuscire a rendersi conto che si è caduti vittima di questa trappola mentale, per questo potrebbe essere utile anche confrontarsi con una persona amica. Successivamente bisogna imparare a distinguere ciò di cui è bene parlare e ciò di cui è bene tacere. Infine è molto importante capire che parte della nostra crescita personale consiste nel prenderci le nostre responsabilità e saper affrontare gli ostacoli che incontriamo lungo il cammino senza scaricarli su chi ci sta vicino poiché se da una parte l’effetto è di alleggerirci dall’altra rischia però di appesantire chi ci ascolta e di restare soli. In conclusione, caro Direttore, nell’augurarle buone ferie, auguro anche a tutti noi che sulle nostre bellissime spiagge italiane o tra i sentieri delle nostre meravigliose montagne il nostro vicino d’ombrellone o il nostro vicino di camminata non sia affetto da «Socializzazione Assoluta» altrimenti finite le ferie nelle nostre orecchie sentiremo ancora ronzare le parole di chi crede che tutto succeda a lui e pertanto si arroga il diritto di parlare sempre di sé e a noi non rimane che ascoltare, ascoltare, ascoltare... Ad Maiora.

// Gippo Comini
Rezzato
Gentile lettore, viviamo una situazione contraddittoria. Da un lato, veniamo spesso a scoprire, magari in circostanze drammatiche, silenzi «assoluti» per usare il termine da lei scomodato, che sono lo specchio di solitudini altrettanto assolute. Da un altro, ci troviamo di fronte a quella che lei definisce «socializzazione assoluta», in cui la persona perde ogni remora nel raccontare e riversare la propria vita e il proprio ego, magari senza rendersene conto, sull’interlocutore che incontra. Anche questo atteggiamento, quando non causato da fattori esogeni quali ad esempio malattie o farmaci, a mio avviso è in ultima istanza il frutto di una solitudine interiore che fatica a costruire un’equilibrata trama di relazioni con gli altri. Non mi azzardo in consigli terapeutici: si dovrebbe aprire anche una vasta questione «preventiva». Prendo atto di quelli da lei rivolti a chi soffre di «socializzazione assoluta». Ma credo che da parte loro gli interlocutori possono dare una mano a chi ne soffre, soprattutto se persona amica, con l’esercizio della vecchia santa pazienza, unito a un’attenzione non di rassegnata sopportazione o malcelato compatimento, ma di autorevole e forte dialettica verso chi vorrebbe imporci di ascoltare, ascoltare, ascoltare... La capacità di dialogo d’altronde non si improvvisa: con la pratica la si può imparare ma occorre sempre essere almeno in due.(g.c.)

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