Chi non deve o può indurre in tentazione nel Padre nostro?

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Con piacere ho sentito come, nella Messa celebrata la sera del 24 dicembre in San Pietro, papa Francesco abbia ben chiaramente mantenuto in latino «et ne nos inducat in tentationem» nella preghiera del Padre Nostro che non so chi e perché abbia voluto modificare nella versione in italiano. È una preghiera perfettissima che riporta fedelmente le stesse parole di Gesù «e non ci indurre in tentazione» che inspiegabilmente è stata modificata «non abbandonarmi alla tentazione». In mio aiuto addirittura San Tommaso d'Aquino che spiega «con la frase non ci indurre in tentazione "chiediamo di non essere tentati in alcun modo"».

// Silcio Emilio Cavalli
(ex allievo rosminiano) Gardone Riviera
Gentile lettore, i testi liturgici e delle preghiere canoniche sono formulati - fin dalle origini del Cristianesimo - in modo rigorosamente coerente sotto il profilo teologico. A spiegare il senso della nuova traduzione italiana della preghiera più popolare insegnata da Gesù stesso, fu lo stesso papa Francesco: «Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito... Quello che ti induce in tentazione è Satana». Questo rinnovamento ha richiesto 16 anni di studio e solo nel novembre del 2018 si è arrivati al via libera definitivo dell’Assemblea generale dei Vescovi italiani. Quindi si può apprezzare o meno la nuova versione del Padre Nostro che dall’Avvento del 2020 viene recitata nella messa (e anche quando si prega individualmente), ma certo questo cambiamento non è «inspiegabile». Recitare correttamente una preghiera val bene il superamento del tabù di una formula sedimentata nella memoria fin da ragazzi. Anche se il buon Dio, credo, perdonerà coloro a cui, recitando il Padre Nostro, sfuggirà ancora un «non indurci in tentazione». (g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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