Che esperienza lavorare al seggio speciale
Per innumerevoli volte ho fatto il presidente di seggio. Conosco tutti i marchingegni ed i dettami della legge, per il corretto svolgimento delle elezioni. So quindi tutti gli inghippi ed i rischi legati all'uso delle schede. La cosa è seria, perché il voto darà il potere a dei cittadini che poi, in nome del popolo italiano, gestiranno i soldi di tutti. Anche i miei. Per gli ultimi referendum però non mi avevano scelto. So bene che, un mese prima della consultazione, giunge la nomina. Non essendo stato avvisato, mi ritenni libero. Ma non fu così. Stavo a Pontedilegno e mi giunse una telefonata. Era il Comune di Brescia: «Signor Mor?» «Sì, sono io». «Vuol fare il presidente di seggio?». «Beh!, sì, come mai così in ritardo? Mancano sette giorni!». «Si tratta di un seggio speciale al Civile. Ci sta?». «Sì». «Passi dall'Ufficio elettorale, a ritirare la delega». Lì per lì rimasi stupito. Era la prima volta che la mia nomina veniva fatta per telefono. Dapprima pensai ad uno scherzo. Ma poi in ufficio la cosa di dimostrò vera e seria. La presidente, nominata in precedenza, aveva rinunciato, ed io venivo chiamato a fare da tappabuchi. Avevo accettato la nomina senza sapere cosa significasse essere presidente di un seggio speciale. Pensavo fosse un seggio privilegiato, volante, non legato ad eccessive pastoie burocratiche. Ma, una volta insediato, capii subito in quale ragnatela di impegni mi ero avventurato. Al Civile già gli spazi sono angusti per i malati, figurarsi per chi opera alle elezioni. Alla scala quattro del primo piano, sono stati ubicati tutti i seggi elettorali, all'interno dei quali operano anche i seggi speciali. In previsione di una scarsa affluenza, dato l'ambiente, era stata scelta una stanza sbilenca, di due metri per quattro. Dentro trovavano posto un tavolo lungo e stretto per quattro urne; una cabina elettorale, un'ampia scrivania, le sedie per sette componenti, un contenitore massiccio con tutto il materiale necessario per le votazioni: buste, matite, rotoli, timbri, verbali, liste, manifesti, brogliacci, ecc.: tutta roba registrata. In scatoloni a parte erano sigillate le schede. Alle 16 del giorno 11, si sono radunati tutti i componenti i seggi: due presidenti, il segretario e quattro scrutatori, gomito a gomito per espletare le operazioni preliminari. Io, come presidente del seggio speciale, dovevo coordinarmi col presidente del seggio normale. Quest'ultimo un grand'uomo, non solo sotto l'aspetto organizzativo, ma anche umano: era alto uno e novanta. Io, con Laura e Paola, scrutatrici eccellenti, ci siamo impossessati degli strumenti di lavoro, dell'occorrente per votare e di un bel carrettino a quattro ruote, con una paratoia, per garantire l'intimità del voto. Con quegli aggeggi saremmo andati al capezzale dei pazienti bloccati a letto. Forse non tutti sanno cosa significhi muoversi con un carrettino tra le corsie dell'Ospedale Civile. La struttura è una piovra dagli infiniti tentacoli. Al centro ci sta una chiesa, mentre il Satellite ci fa da cappello. Con le mie cartilagini scricchiolanti, mi son ritrovato a navigare lungo gli infiniti corridoi, su e giù dai reparti, in cerca degli aspiranti elettori. Siamo stati per un paio di giorni, un seggio letteralmente volante. Io spingevo il carretto e le due scrutatrici mi indicavano la via: «Destra, sinistra, occhio alla barella!, alt!, siamo giunti!». Il personale ospedaliero è stato meraviglioso. Ci ha favorito in tutti i modi. Anche in Oncologia o nel Trapianto di midollo, non ci sono stati problemi. Le porte si spalancavano come fossimo stati gli angeli dell'Apocalisse. Solo dovevamo bardarci di scarpe, mascherine, guanti, mantelline, cuffie isolanti. Quel che è successo non lo dimenticherò mai più! Ammalati gravi, pazienti in difficoltà con flebi e sacchette, volevano votare. Volevano sentirsi vivi e protagonisti attraverso il voto. Vedendo la loro sete di civiltà, mi sono commosso. Non riuscivo a capacitarmi che esistessero persone, che in nome di un ideale di partecipazione, dimenticassero per un attimo i loro tremendi mali, per esercitare un diritto civile. Così la fatica di tutto quel gironzolare si è sciolta nel cuore, per lasciare il posto ad una gioia interiore mai sperimentata, nella consapevolezza d'aver dato a quegli elettori la possibilità di una scelta, che dà dignità ad ogni uomo libero. Sano o malato che sia. Un presidente e due scrutatrici felici d'aver fatto un'esperienza umana speciale, in un seggio speciale. Io mi son preso 79 euro, le mie collaboratrici 53.
Adriano Mor
Brescia
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