Caro La Russa, io ai referendum voto eccome

Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha dichiarato che probabilmente (dipenderà dal meteo?) andrà a votare per i referendum dell’8 e 9 giugno, ma che in ogni caso farà campagna elettorale per l’astensione. Analoga indicazione perviene da altri autorevoli esponenti della maggioranza. Legittimo supporre che l’appello al non voto, sarà utile a identificare chi è pro e chi è contro il Governo in carica, utilizzare il verbo «schedare» ci parrebbe, al momento, prematuro. Egregio presidente La Russa, io a votare ci andrò, come sempre di buon mattino, seggio 210, scuola media Virgilio, Mompiano: su alcune schede traccerò il NO, su altre il SÌ, continuerò ad esercitare - e ad onorare - il sacro diritto per il quale migliaia di donne e di uomini si sono battuti, spesso a sacrificio della libertà e della vita. Se vuol già prendere nota.
Germano MazzaliBrescia
Caro Germano, è raro - a sinistra, quanto a destra, come al centro - trovare qualcuno che distingua nitidamente l’abito istituzionale da quello politico. Ci scuserà dunque se non ci scandalizziamo per l’invito all’astensione del presidente La Russa. Prima di lui molti l’hanno fatto, qualcuno (pensiamo a Craxi) ustionandosi le dita, qualcun altro cavalcando con successo l’onda. Se vogliamo parlarci schiettamente, per com’è formulato nella nostra Costituzione, astenersi dal votare un referendum abrogativo non mancato riconoscimento di un sacro diritto, né una possibilità di sostituirsi al Parlamento ed esercitare una forma di democrazia diretta (lo dimostra la storia che questo tipo di referendum, anche nel migliore dei casi, poi finiscono con il mancare gli obiettivi che si prefiggono: poiché un conto è abrogare, un altro legiferare). Ciò non toglie che, personalmente, l’8 o 9 giugno a votare andremo. Così come, finché avremo voce, ci sforzeremo di informarci ed informare, confrontandoci nel merito di ogni quesito. Lo faremo però senza illusioni, come una sorta di «certificato di esistenza in vita», perché in un mondo dove il pericolo è di esser trasformati tutti in sudditi o, bene che vada, in clienti, ogni possibilità di ribadire il nostro esser cittadini e cittadine conta. (g. bar.)
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