Capacità digitali, ma lo stile di vita è bello analogico di Luca Bordoni - 27 anni, Palazzolo
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Nella mia città il «cantiere» digitale è in piena fase di costruzione. Proprio in questi giorni si sta svolgendo infatti il Palazzolo Digital Festival, la seconda edizione di una manifestazione che si propone tra gli altri l’obiettivo di formare una rete di co-working locale e appoggiare così lo sviluppo di creatività giovanili in campo digitale e hi-tech.Fin dall’anno scorso ho sostenuto il progetto perché l’ho trovato di una originalità difficile da incontrare se non nelle grandi città. Un’occasione da non perdere, insomma. Spendendo parole buone e ottimistiche sull’iniziativa mi sono imbattuto un giorno della settimana scorsa in un amico, seppur sia di qualche anno più vecchio di me. Quest’uomo, che fa arte «di professione» mi ha detto, parafrasando il motto del festival di quest’anno: «Io voglio essere analogico». Già, perché lo slogan era «Sveglia! Non fare l’analogico!». Prima di allora, non mi era sembrato altro che un simpatico monito a fini promozionali. Ora però ci ho riflettuto molto. Cosa vuol dire essere analogico? E cosa digitale? Sono solo terminologie tecniche oppure sottendono una visione del mondo diametralmente opposta, un approccio diverso alla vita e ai contatti interpersonali? Questa riflessione mi ha riportato alla mente una scena su cui ho riso molto qualche sera fa. Ero seduto al solito tavolo del solito bar con alcuni amici. Al tavolo di fianco erano seduti sei ragazzi poco più che ventenni e stavano parlando tra loro. La ragione che ha scatenato la mia ilarità è stata quella che nessuno dei sei, nonostante interloquisse con gli altri, stava guardando in faccia gli amici: tutti stavano scorrendo il dito sul proprio smartphone. «Quelle teste chinate all’ingiù sono digitali. È questo davvero quello che vuoi?», mi direbbe il mio amico «analogico». Sbagliato. In quei visi apparentemente assenti non c’era una vera alienazione. C’era una necessità di relazione. Quella scena è proprio il segno che c’è bisogno di «educazione digitale». Chi come me è cresciuto nel mondo analogico ed ha poi visto pian piano evolversi l’universo digitale è capace, eccezioni permettendo, di rapportarsi con la tecnologia moderna. I ragazzi delle generazioni successive sono cresciuti già «digitalizzati» e ora urlano e ci chiedono aiuto. Vogliono avere relazioni vere, non solo su Facebook. E a noi spetta il compito di aiutarli. È inevitabile che in questi momenti di confusione tecnologica le relazioni interpersonali reali siano state svuotate di significato, ma ciò non deve impedirci di riempirle nuovamente, magari con un significato mutato e più forte. Il digitale in futuro ci sarà sempre più utile nella vita di tutti i giorni. Ma dopo che avremo imparato ad usarlo con la testa, vi prego, riscopriamo un po’ anche l’analogico.
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