Cambiano i tempi E anche l’oratorio non è più lo stesso

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Parto da lontano. Sono il papà di un adolescente che tra le varie forme di aggregazione ha scelto l’oratorio come luogo per condividere, sperimentare e crescere. Ai miei tempi, negli anni ’80/’90, la figura del sacerdote era fondamentale; il Curato era il punto di riferimento per noi adolescenti di una volta. Tuttavia, con il calo delle vocazioni, siamo arrivati ai giorni nostri dove la figura del Curato è sparita e le parrocchie che ancora ne godono sono, giustamente, quelle con i parrocchiani più numerosi. Quindi, per ovviare a questa mancanza, i parroci, che non possono essere sempre dappertutto e per tutti, hanno delegato i laici a ricoprire questa figura, soprattutto nella gestione dell’oratorio. Capita a volte che questa figura laica si trasformi in un dirigente d’azienda, in un amministratore delegato, ad un factotum senza investitura. La conseguenza di questa operazione laica è trasformare una realtà, dove l’educazione dovrebbe stare al centro, in un’azienda dedita al profitto, ad una società per pochi eletti senza poter avere uno spazio di confronto e condivisione, il tutto con l’avallo del responsabile che, fino a prova contraria, dovrebbe essere il parroco.
Sergio

Caro Sergio,

il tema ci sta particolarmente a cuore, poiché all’oratorio dobbiamo la parte buona di ciò che siamo.

Il mondo è cambiato, è vero, e con esso anche le fondamenta che hanno reso possibile quanto la nostra generazione ha vissuto: presenza di sacerdoti, abbondanza di ragazzi, assenza di alternative, effervescenza di tempo libero.

Fermarci alla nostalgia sarebbe però inutile, oltre che fuori luogo. I cristiani d’altra parte hanno questo, di distintivo: sono chiamati a «leggere i segni dei tempi», come suggeriva il cardinal Martini, e a rinnovare continuamente il carisma originario.

Nel concreto, che i laici debbano sempre più assumersi responsabilità pastorali, poiché la crisi vocazionale è tale da non garantire ricambio di sacerdoti, è un dato di fatto. Semmai da evitare quanto un’eresia è la tentazione di una gestione aziendale, economicistica, improntata a regole di razionalità, organizzazione, burocrazia, efficienza. Come ricordato e testimoniato fino all’ultimo respiro da Papa Francesco, il Cristianesimo è infatti l’esatto contrario: abbondanza, eccedenza, assunzione del rischio, valorizzazione dello scarto. Per spiegarci meglio, più delle teorie, portiamo un esempio.

Quando il Consiglio pastorale del nostro paese propose di chiudere il bar dell’oratorio, perché non era conveniente tenerlo aperto, l’allora parroco rispose che avrebbe sì chiuso il bar, ma soltanto se avesse guadagnato troppo, poiché ciò avrebbe significato concorrenza sleale verso i baristi del paese che invece di quel lavoro campavano. E a chi storceva il naso, sospettando che qualcuno dei ragazzi chiamati a turno a gestire la struttura oratoriana ne approfittasse per mangiare qualche caramella o un ghiacciolo, senza pagarlo, lo stesso sacerdote replicava che il bar, all’oratorio, c’era proprio per quello: per mettere i ragazzi di fronte alla scelta tra male e bene, permettendo loro anche di sbagliare. «Rischio educativo» lo chiamava. Quello che spesso per primi noi non siamo disposti a tollerare, al giorno d’oggi, abdicando così al ruolo di adulti che abbiamo. (g. bar.)

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