Caionvico, un territorio da preservare
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Sono un’abitante di Caionvico, pur non essendo nata qui amo molto questo luogo. Caionvico ha una conformazione del tutto particolare: è un angolo di terra che il monte protegge e preserva dai ritmi dissennati di una società che ha perso la capacità di gustare la vita nei suoi spazi di ascolto e contemplazione.Pur trovandosi vicino alla città ha conservato la sua autenticità, un rispetto della persona e dell’ambiente oggi davvero rari. La comunità caionvichese, sobria e concreta, conserva un profondo legame con la terra e con le sue tradizioni. Le caratteristiche del luogo, la protezione del monte Mascheda al territorio consentono la coltivazione di piante antiche quali la vite e l’ulivo con conseguente produzione di vino e olio, il monte offre la possibilità di belle passeggiate in mezzo ad una natura ancora intatta. Caionvico ha una sua sacralità, la si percepisce quando si sale verso la chiesa madre e il cimitero attraverso la salita fiancheggiata da alti cipressi, qui ogni giorno si ripete il pellegrinaggio di persone che lentamente, piegate da un dolore grande mai sopito salgono a far visita alle persone care che non ci sono più. La chiesa risale al XV secolo, è intitolata ai santi Faustino e Giovita: l’interno mistico ed essenziale contiene uno splendido affresco raffigurante L’ultima Cena riferibile alla scuola di Pietro Marone. Questo luogo è il cuore della comunità, entrando si percepisce il suo lungo vissuto, la stratificazione di eventi ed emozioni di tante generazioni. Da quasi due anni la chiesa è chiusa a causa di alcune crepe causate dal terremoto del 25 gennaio 2012, forte è il dispiacere della comunità che assiste impotente al degrado che l’inagibilità comporta e non sa rassegnarsi. Attraverso queste righe si esprime il desiderio e la speranza che possa essere presto possibile dare inizio ai lavori di consolidamento strutturale per restituire la chiesa alla sua gente e farla tornare quel punto di incontro che è sempre stata.
Lettera firmata
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Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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