Buona scuola tra Alfieri e Leopardi

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Ore 8.00. La seconda campanella richiama alcuni gruppi di alunni ancora assiepati in capannelli nei corridoi dell’Istituto e ammonisce qualche collega che già si affretta verso la propria aula con tanto di borsa e registro di classe. Entro nella mia 4ª F dell’Itis Marzoli di Palazzolo. Prima ora italiano. Seconda ora storia. Poso tutto sulla cattedra e mentre squaderno registro e pc per la consueta operazione di firma di presenza e di registrazione degli assenti, li guardo con finta distrazione. Anche loro mi guardano. Sono solo le otto, ma per loro è già un poco metaforico mezzogiorno di fuoco. Mi piace scherzare con loro, ma in queste situazioni non amo prolungare il gioco, perché comprendo la loro lecita tensione. «No, ragazzi, se non v’offendete oggi preferirei non interrogare. Vorrei proseguire con Alfieri e, quindi, l’ora successiva vorrei concludere la Rivoluzione francese. A meno che non vi siano volontari. I volontari sono sempre ben accetti (e faccio loro il cenno della mannaia)!». Risata liberatoria. Pausa di silenzio. Poi: «Se lei non si offende, prof, noi di certo non ci offendiamo». Capito. Invito a prendere la letteratura. Si legge un passo della Vita. Dopo l’osticità coriacea e aspra del Saul questa è robetta. In quest’ora loro, i veri maghi del computer (sono informatici e possono addirittura mettermi in un fiero imbarazzo), si sentono, talvolta, come pesci fuor d’acqua. E io non sono certo il gestore di un banco di pescheria. No. Assolutamente. La faccenda è seria e Dio sa come vorrei poterli incantare anche solo con una frase o con un breve lacerto di qualche opera antica. A volte mi riesce. Dopo tutto i grandi letterati non sono marziani. Sono uomini come noi. Stesse ansie, identiche speranze. Hanno unicamente messo a fuoco con forza e determinazione una passione che già albergava in loro. Una passione che è diventata una vita. In classe si legge di tutto. Le lezioni sugli autori contemporanei a volte le faccio tenere a loro. Con tanto di valutazione. O meglio, di autovalutazione. «Che voto vuoi?». Un alunno è perfino in grado di darsi un onesto quattro. Ma in questi casi io preferisco assegnare un cinque. Settimana scorsa ho interrogato su Goldoni. Più che un’interrogazione è stata una vera epifania. Un pontificato. Mirandolina è una donna da cui si sprigiona il concetto di necessità di autoconservazione personale e imprenditoriale. Una donna che riflette pienamente non solo il concetto di una borghesia positiva, ma anche di una natura che non tradisce mai se stessa. Mi chiede di dargli un sette. Maddài! Dieci. «Lo sai che esiste anche il dieci, vero?». Vorrei registrarli, a volte. E farli risentire nei Consigli di Classe. Alfieri, dicevamo. Alla fine anche Alfieri è ossessionato da un procedere inquieto e già romantico. La Rivoluzione francese lo ha disgustato a sufficienza. Il viaggio alfieriano diviene, così, mezzo di formazione, ma anche esperienza catartica in cui la libertà assume i tratti di un imperativo categorico informativo di tutta un’esistenza. Leggiamo dalla Vita: «Oltre il teatro, era anche uno de’ miei divertimenti in Marsiglia il bagnarmi quasi ogni sera nel mare. Mi era venuto trovato un luoghetto graziosissimo ad una certa punta di terra posta a man dritta fuori del porto, dove sedendomi su la rena con le spalle addossate a uno scoglio ben altetto che mi toglieva ogni vista della terra da tergo, innanzi ed intorno a me non vedeva altro che mare e cielo; e così fra quelle due immensità abbellite anche molto dai raggi del sole che si tuffava nell’onde, io mi passava un’ora di delizie fantasticando; e quivi avrei composto molte poesie, se io avessi saputo scrivere o in rima o in prosa in una lingua qual che si fosse». «Alt!». Guardo i miei alunni. Faccio un semplice salto all’indietro di due anni, precisamente al secondo anno, quando il programma prevede la trattazione del testo poetico con tanto di analisi metrica e retorica. Avanzo la domanda con tutta la semplicità e la sicurezza possibili: «Chi ha scritto, riadattando quasi testualmente Alfieri, così fra quest’immensità s’annega il pensier mio? Chi ha scritto, similmente ad Alfieri, di un ostacolo che impedisce la vista di una parte di mondo?». «Leopardi con l’Infinito!». La risposta è quasi corale. Ben detto! Leopardi, del resto, nel 1817, all’interno dello Zibaldone, riferisce esplicitamente di aver letto Alfieri. «Copione!». Sghignazzano compiaciuti. «Non ha copiato nessuna poesia, ma il dubbio che il nostro Leopardi abbia tratto delle suggestioni da questo passaggio alfieriano è più che lecito». «Questo è un pezzo da giornale, prof!». «Siete grandi! Domani spediamo». // Prof. Massimo Rossi Ist. Marzoli Palazzolo s/Oglio Voi avete spedito e ora noi pubblichiamo. Grazie prof. Rossi. Grazie ragazzi della 4ª F dell’Itis Marzoli di Palazzolo. Grazie per aver voluto condividere con noi questa vera pagina de La Buona Scuola. (n.v.)

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