Brescia Calcio. Orgoglio e... pregiudizio

Lettere al direttore
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Sappiamo tutti cosa è successo. Il Brescia calcio è fallito. All’orizzonte si staglia lo spettro di campionati in campetti di provincia per risalire, si spera velocemente, verso il calcio che conta. Quello dei professionisti, quello che la città vive da oltre un secolo. Centoquattordici anni per la precisione. Decenni che hanno visto in campo fenomeni come Baggio, campioni in erba come Pirlo, cervelli e piedi sopraffini come Guardiola per citarne solo alcuni, nella consapevolezza di non rendere giustizia a tanti, troppi ottimi calciatori che hanno vestito la maglia azzurra con la «V». Ma ora, forse, tutto è finito. O almeno molto, troppo lontano. Si son cercati i colpevoli di questo disastro. Alcuni francamente facili da vedere, altri meno. La giustizia ordinaria e sportiva faranno il loro corso e diranno chi ha sbagliato. Per il resto si spera che qualcuno si faccia un esame di coscienza. Ma oltre a puntare il dito, ora si cercano anche soluzioni a quella apparentemente troppo dolorosa di qualche anno nel limbo dei dilettanti. Tavoli tra esponenti della politica e presidenti di squadre che sul campo hanno meritato il professionismo. A discutere di un futuro non meglio definibile. Sicuri che sia la strada giusta? E soprattutto: qual è l’obiettivo? Perché se lo scopo è mantenere in città il calcio che conta, forse potrebbero (condizionale d’obbligo) andare bene anche soluzioni di compromesso. Ma se il fine è ridare il Brescia ai tifosi allora no, non ci siamo, nemmeno lontanamente. Se lo scopo è recuperare la dignità perduta nemmeno. Non stiamo parlando di aziende, che oggi si fondono e domani si lasciano. No. Stiamo parlando di tifo. Che poi è cuore, appartenenza, identità e lotta. Un tifoso ha nel cuore la Sua squadra. Quella che ha vinto, e che ha anche perso. Quella che lo fa andare a letto di buon umore o di pessimo umore a seconda del risultato. Quella che lo fa gioire, e spesso anche arrabbiare. Quella che quando vede uno che ha gli stessi colori nel cuore fa scattare un’istintiva fratellanza. Questa è identità. È appartenenza. E non può essere ridotta a una trattativa tra marchi da fondere, anche nel lungo periodo. No. Perché le tifoserie saranno figlie di madri diverse, sempre. Non sentiranno quella fratellanza. Mai. È un istinto, quello del tifoso, che non va verso un marchio. Ma verso una storia. Fatta anche di cadute dolorosissime. Ma pure di lotta insieme per rialzarsi. Questo vuole una tifoseria. Rialzarsi con fatica e orgoglio, non comprare in qualche modo il sudore di altri. Farcela, prima o poi. Da soli. Ripartire in qualche modo dalla C sarebbe una scorciatoia che comunque lascerebbe una ferita nell’orgoglio del tifoso. Perché tifare vuol dire soffrire insieme, e poi gioire delle vittorie. Che fino a prova contraria si ottengono sul campo. Non a tavolino. Che il Brescia risalga. Con le sue gambe e la sua dignità. In fondo stiamo parlando di una Leonessa. Che non ha paura. Mai.

Federico VIncenzi

Caro Federico, il suo appartiene alla categoria dei pareri: tutti leciti. Di più. Nel prontuario etico - e anche un po’ retorico, ammettiamolo - del calcio, non c’è una sua parola che non sottoscriveremmo. È sul terreno duro e sdrucciolevole della realtà, cioè passare dalle parole ai fatti, che invece si rischia lo scivolo. Facciamo allora insieme un esercizio: cerchiamo di capire «a cosa si tiene», quando si fa il tifo per una squadra. Cosa conta veramente? I giocatori? No, i giocatori passano, persino quelle che chiamiamo «bandiere». I dirigenti? Men che meno. La società? Insomma... Che si tratti di una Srl o di una Spa, che sia proprietà di un singolo o di un fondo, importa sì, ma a contorno. I risultati? Certo, quelli contano, ma sono un obiettivo, non il nocciolo. Il nome? Beh, il nome conta, però non in sé, bensì per ciò che indica. Facciamola breve. Se dovessimo trovare una risposta, diremmo che «si tiene» a un’idea; un’idea che esprime identità e appartenenza. Il Brescia Calcio è questo. Così come lo sono, per i loro tifosi, la Juve, l’Inter, il Milan, il Ciliverghe o il Travagliato. Che conta, dunque, è che i tifosi chiamano e chiameranno sempre Brescia Calcio. Questo ha lo sport di magico, questo lo distingue da tutto il resto. E non è un’opinione, bensì un dato di fatto, confermato da quanto capitato altrove. La Fiorentina attuale, ad esempio. C’è qualcuno che abbia dubbi che non sia la stessa fondata nel 1926? Chi ricorda che invece all’inizio del 2000 è fallita, che è stata rifondata con altro nome (Florentia), che per meriti sportivi e non sul campo è stata promossa di categoria dalla C2 direttamente alla B, che poi ha ripreso nome e stemma? Fiorentina, Napoli, Catania, Chievo, Palermo... Nomi differenti, identico destino. Per concludere: non conosciamo che ne sarà del Brescia, se ripartirà dai dilettanti o se troverà una scorciatoia per fare meno purgatorio. Importante è che ciò che chiamiamo Brescia non scompaia e che torni a rappresentare e identificare una città, un territorio, oseremmo dire un popolo. «Forza Brescia» allora. Il resto conta zero. (g. bar.)

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