Bei tempi passati Sì, ma ricordiamo bene proprio tutto

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Le pratiche stagionali agricole? Ricolme di sapienza e tradizione! L’uomo che affidava il futuro e il proprio destino ai capricci del vento, della pioggia, al gelo e alla calura… sapeva bene quanto era importante rispettare le regole dettate dalla natura, quanto era necessario curare ogni dettame e dettaglio per prepararsi al meglio anche se accadeva il peggio. Ogni stagione, ogni mese, ogni giorno suggerivano il da farsi: nei campi, lungo le rogge così come sulle aie e nelle stalle. Era l’esperienza che dettava le pratiche degli addetti ai lavori; era dalla conoscenza sedimentata nel tempo che nasceva la sapienza, sorgevano i proverbi, si declamavano le previsioni, era determinata l’

opera utile e necessaria. In inverno si tagliavano gli alberi con la dovuta parsimonia; in primavera si ripulivano le rogge irrigue e si potavano i filari delle piante: con cura e meticolosità, ramo dopo ramo, con l’accetta e tanta fatica. I lavori stagionali li svolgevano i contadini salariati e, per tali pratiche, i padroni inviano sui terreni i più esperti, per il taglio dei gelsi, degli olmi, degli ontani e delle capitozze che costeggiavano le rogge. Ogni ceppaia di platano veniva sfoltita dai rami cadetti: era impoverita per arricchirla. Nel periodo pre e post pasquale le piante andavano preparate per la stagione dell’abbondanza e dei raccolti… In quei giorni dentro gli alvei dei fiumi della campagna si contavano trenta, quaranta uomini che, con badile e le forche, liberavano i corsi d’acqua dalle sterpaglie e dalle foglie secche. Erano inviati dalle compartite, dai consorzi irrigui, o pagati a ore dai possidenti terrieri per facilitare lo scorrere delle acque nei fiumi: un serpeggiare liquido indispensabile per alimentare le «bocche» irrigue sui prati, sul grano e il granoturco, essenze tutte pronte a nascere. A me pareva che tutto ciò fosse ben fatto, utilizzando la necessaria esperienza, con cognizione di causa, con delicatezza e rispetto. Persino con affetto. Ai giorni nostri? L’incuria e l’abbandono! Ho chiesto lumi e le ragioni di questo nuovo corso delle cose. Mi hanno risposto che «non ci stanno dentro…». Non ci sta dentro (economicamente parlando) più nessuno… Ma come, ho ribadito, e il progresso, la scienza e la tecnologia non aiutano? Non sono arrivati a supporto anche dell’agricoltura i computer, i robot e l’intelligenza artificiale? I fiumi della Bassa sono percorsi da macchinari che, invece di pulirli, rompono il letto dei corsi d’acqua, un’operazione deleteria, lo capisce anche uno come me. Sicché le rogge irrigue non vengono più ripulite, ma torturate. Le ceppaie sono bruciate, avvelenate, eliminate e gli argini non si reggono più. Gli stessi alberi sono devastati da attrezzi meccanici tritatutto che lasciano i filari come vandalizzati. Vedere per credere.
Gian Mario Andrico
Motella di Borgo San Giacomo

Caro Gian Mario,

come un tir, ci mettiamo di traverso. Non per il gusto di farlo, bensì poiché non vale giocare al confronto tra epoche usando la briscola dei tempi che furono, della nostalgia.

Si vince facile, ogni volta. Perché l’essere umano è presbite: fatica a mettere a fuoco ciò che ha sotto il naso, mentre da lontano distingue tutto e pare pure una meraviglia.

Non capita soltanto a lei, a tutti.

Lo sforzo della memoria allora deve esser doppio, rammentando sì l’arcadia d’un tempo - le amene rogge, le placide aie, gli ubertosi pascoli... - ma con annessi gli stenti, le fatiche, le difficoltà di chi doveva sgobbare come un mulo, spezzandosi la schiena sulla terra bassa, di chi per sfamarsi aveva se andava bene pane duro e latte o zuppa, minestra, delle cinghie tirate a lungo e dei mali che si doveva tenere, guarendo più per fortuna che per medicina.

Così, parimenti, accanto alla prepotenza dei macchinari che non rispettano la natura, al cemento che ancora deturpa, alla logica cinica e spietata del grande capitale che fa i ricchi sempre più ricchi e i miseri sempre più miseri, viviamo altresì un tempo di benessere, di abbondanza, di pace persino, almeno sull’uscio della porta di casa.

Ecco perché, caro Gian Mario, chiediamo a lei e ai lettori uno sforzo in più: sul piatto della bilancia mettiamo tutto, non soltanto ciò che a prima vista ci aggrada.

(g. bar.)

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