Attaccare l'asino dove vuole il padrone
Mi consenta una riflessione sul nostro Parlamento dove, purtroppo siedono da tempo persone che mirano soltanto a gestire i loro interessi. Il politico di professione, scriveva Max Weber circa un secolo fa, dovrebbe vivere per la politica. Mentre, in realtà, lasciava intuire, vive di politica. Tradotto: il politico, invece di dare, nel senso del plusvalore professionale (precedente all'elezione), prende... Sfrutta la situazione e specula su contatti e relazioni. Pappandosi - oggi sicuramente - lauti stipendi. Weber, che morì nel 1920, non era fascista, ma un attento osservatore di ciò che uno studioso più a destra di lui, come Pareto, definì la degenerazione della democrazia. Tra le due guerre mondiali i vari fascismi «smontarono» i Parlamenti sostituendoli con Camere corporative, capaci di rappresentare i diversi corpi professionali. Perché, si diceva, servono i competenti, non i politicanti. Poi tornarono le democrazie che misero in soffitta il corporativismo. Anche se nei Paesi scandinavi, targati socialdemocrazia, si continua a praticare quello che i politologi, ancora negli anni Settanta del Novecento, continuarono a chiamare neo-corporativismo democratico: una forma di gestione economico-sociale che, pur lasciando le istituzioni parlamentari nelle mani dei politici di professione, praticava una concertazione, spesso prevista per legge, tra le diverse parti sociali e professionali. Si trattava di un corporativismo che non esautorava il Parlamento, ma lo affiancava e, in alcuni casi, surrogava stabilendo la cornice sociale ed economica degli accordi entro cui i deputati dovevano poi legiferare. In Italia, una funzione di questo tipo - però consultiva - avrebbe dovuto svolgerla il Consiglio nazionale dell'Economia e del Lavoro, istituito alla fine degli anni Cinquanta, ma presto divenuto un cimitero di lusso per elefanti politici e sindacali... Ricordo (da missino che non ha accettato la svolta vergognosa di Fiuggi) il Movimento sociale italiano promosse per anni l'«Idea corporativa». E, per chiunque ne abbia voglia, consiglio la rilettura dei numerosi fascicoli e rapporti prodotti, soprattutto negli anni Settanta - in effetti sotto l'impulso di Giorgio Almirante - dall'Istituto di Studi Corporativi. Dove si ragionava soprattutto di corporativismo democratico, se non alla scandinava, sicuramente in chiave «mediterranea». Puntando sulla creazione di una Camera delle competenze professionali da affiancare a quella politica. Una «Camera» capace di fornire indicazioni sulla programmazione corporativa - una volta discussa con i diversi corpi professionali - dei vari indicatori sociali ed economici. Oggi si parlerebbe di «Pil corporativo». Tuttavia, l'idea stessa di un neo-corporativismo democratico, anche in termini di pura concertazione informale tra imprenditori, Governo e sindacato, è stata spazzata via negli anni Ottanta e Novanta (soprattutto in Italia), dalle cosiddette «rivoluzioni neo-liberiste» che hanno inciso anche sui post-missini e post-aennini. È di domenica scorsa il peana del Secolo d'Italia al «liberiamo l'economia» e allo «Stato leggero». Abbiamo il Parlamento pieno di tuttologi e gli sfascisti immaginati di via della Scrofa giocano a fare gli anarco-liberali... Pietoso. Il vecchio Weber aveva ragione e purtroppo chi vive di politica deve attaccare l'asinello dove vuole il padrone. Pertanto, se la destra che un tempo celebrava e studiava il neo-corporativismo in versione democratica è passata armi e bagagli al neoliberismo, figurarsi gli altri partiti, incollati ai propri storici privilegi. Probabilmente servirebbe gente capace di vivere per la politica. Ma dove potremmo trovarla oggi?
Adriano Bosio
Brescia
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