Ammiro la mamma della «lettera al figlio bocciato»

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Ho letto l’incantevole lettera della madre al figlio bocciato che ha pubblicato sul suo giornale. Ho provato grande ammirazione per questa donna, ritenendolo un coraggioso gesto d’amore e soprattutto di educazione collettiva. Ho immaginato una madre insegnante, una madre impiegata, una madre casalinga, una madre manager e poi, quasi come se potessi riuscire a vederla, ho visto solo una madre, un volto deluso, arrabbiato, consapevole, realista. Una bocciatura non è un grande fallimento e non dev’essere un trauma ma è un «bello schiaffo» al nostro narcisismo, a quella parte di noi che in questi casi teme non solo di non piacere agli altri ma anche di non piacersi. Subentra la vergogna, il sentirsi diverso dagli altri e per i nuovi compagni saremo per sempre «quello bocciato», di cui è difficile qualche volta avere stima visto che si è fatto sfuggire un anno. Ma dieci mesi di disimpegno scolastico o discontinuità nello studio, talvolta, celano un disagio indifferenziato fra silenziosi quesiti esistenziali e domande universali. È proprio così, a volte ci fidiamo che la rincorsa all’ultimo miglio valga più della qualità di tutto il percorso e spesso ci dimentichiamo che superare gli ostacoli significa attraversarli e non evitarli. Una lettera di una madre come una sana lezione di pedagogia famigliare, un insieme di semplici assiomi che dicono tanto e lasciano altrettanto. È proprio così, a volte crediamo che fare le scale saltando i gradini sia una strategia per gli scaltri ma scopriamo, a volte solo alla fine, che saltare non basta, che credere nel miracolo non è sufficiente. È proprio così, anche se tutti ce l’hanno con noi, professori e compagni, non consideriamo che l’unica variabile davvero nelle nostre mani siamo noi stessi, la nostra mente, la memoria, la personalità e che solo lo sforzo e la fatica individuale possono combattere il pessimismo, il rancore, la scaramanzia e l’incertezza del risultato. Cara madre, hai ragione, è proprio così. Quelle «scale» sono state anche le nostre, di quando eravamo figli prima di diventare semplici educatori e genitori; e spesso sono state faticose, ripide, difficoltose. A volte ci hanno visto con un piede indeciso, tremante, insicuro ma in altri casi abbiamo fatto delle grandi camminate accumulando sia voti appena sufficienti che ottime performance. La salita verso la cima di una montagna va affrontata con forza e costanza, così anch’io, come molti, ho dovuto imparare che il percorso di studio va realizzato, passo dopo passo, senza dandone per scontato il senso; perché solo nella continua ricerca del significato ritroveremo, nel tempo, ciò che potremo diventare. Grazie a questa madre per la sua lucidità di pensiero, di spirito e di bene.

// Mario Oreficini
Psicologo clinico Brescia

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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