Adozioni in calo, riduttivo parlare solo di cause economiche

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Ho letto con molto interesse l’articolo «Figli di nessuno», che tratta del delicato tema della adozioni di minori. Insieme a mia moglie, ci siamo sentiti chiamati in causa, essendo genitori adottivi di sette bimbi, 4 italiani e tre sudamericani, dal 1983 al 1995 e, quindi, con una discreta esperienza sull’argomento. Premesso che abbiamo un’esperienza molto positiva circa il funzionamento del Tribunale dei Minori di Brescia negli anni in cui abbiamo avuto una consuetudine molto stretta, oggi ci sembra molto riduttivo indicare come unica causa del calo delle domande di adozione il «peggioramento delle condizioni sociali ed economiche negli anni della recente crisi». Diamo per acquisito che un problema economico ci sia, ma certamente non è l’unico. A nostro avviso c’è un grande problema culturale, una vera «mutazione» del sistema di valori sui quali si è sempre fondata la cultura del nostro Paese. In concreto: adottare un bimbo abbandonato è difficile, è foriero di incognite e di problematiche di adattamento e di relazione non semplici (parliamo per esperienza!), l’iter burocratico necessario per giungere al risultato è spesso scoraggiante. Ed ecco che oggi c’è l’antidoto a tutti questi disagi: la fecondazione artificiale, in tutte le sue varianti. Non che questa sia una passeggiata, ma certamente è più rapida e - soprattutto - consente di avere un figlio «su misura», rendendo possibile l’appagamento di ogni personale preferenza, a partire dal bimbo certamente sano. La «cultura dello scarto», come la definisce Papa Francesco, passa anche da qui: non più adottare un bimbo - soddisfacendo ad un tempo il desiderio di genitorialità, da una parte, ed il diritto ad avere una famiglia, dall’altra - ma, piuttosto, costruirsi un bimbo, magari ricorrendo anche a pratiche di selezione degli embrioni non perfetti e non graditi. Proporre al pubblico - come si sta facendo proprio in questi giorni con il Festival in corso - personaggi dello spettacolo come modelli sociali di «amore» perché si sono fatti un figlio con la pratica dell’utero in affitto inquina il cuore delle persone che ascoltano - soprattutto i giovani - e contribuiscono a costruire una società egoista, priva di slancio ideale, che guarda al bimbo abbandonato cui dare una famiglia come un «problema» dal quale stare alla larga. Ancor di più se malato o disabile. Meglio le alchimie della riproduzione tecnologica!mente guidata! Un’ultima battuta, stimato Direttore, sui «bimbi non riconosciuti» - cioè abbandonati subito dopo il parto - in aumento a Brescia. Sembra quasi un segnale di allarme rosso, cui porre un rimedio. Quale? Quello di rimuovere le cause (spesso socioeconomiche) che provocano l’abbandono, oppure quello di eliminare il problema con l’aborto? Personalmente, abbiamo sempre avuto grande rispetto per le mamme che hanno consentito ai nostri figli di nascere. Hanno messo al mondo una vita - e per questo hanno certamente sofferto - hanno dato la possibilità che avessero una famiglia ed hanno dato a noi la gioia di fare il Bene. Se recuperassimo questi valori, invece di cianciare ogni giorno di «diritti procreativi» che, odorano tanto di puro egoismo, forse avremmo una società più civile ed umana.

// Massimo e Silvia Gandolfini
Genitori adottivi Brescia

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