Italia e Estero

Ucraina: «Così resistiamo a Kharkiv sotto le bombe dei russi»

Kseniya Kovaleva, giornalista 23enne, racconta i giorni drammatici della guerra da una delle città più colpite
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"COSI' RESISTIAMO"
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La voce ha quel ritmo concitato di chi sente l’urgenza che il suo interlocutore capisca esattamente cosa sta dicendo e non perda una parola. Lo sguardo, dagli occhi cerchiati, è quello febbrile di chi da giorni è costretto a stare all’erta. «Tu conta che qui dormiamo due o tre ore a notte, mentalmente e fisicamente siamo abbastanza provati. Passiamo da sentirci capaci di uccidere i russi per quello che ci stanno facendo al voler solo dormire e non pensarci più. E così tutto il tempo. Non si teme più di morire, solo di dover vivere così. Ma resistiamo».

Non era pronta a vivere sotto le bombe Kseniya Kovaleva, come non lo erano gli altri abitanti di Kharkiv, la città ucraina a poche decine di chilometri dalla Russia che l'esercito di Putin sta bombardando senza sosta da una settimana. Kseniya ha 23 anni, metà della famiglia di origine è russa, di lavoro fa la giornalista per Marie Claire Ukraine ed è Ceo di un'agenzia di progettazione grafica che non c'è più. Gli uffici sono stati distrutti ieri dagli stessi missili che hanno colpito il municipio della città.

Vivere sotto le bombe

Un'esplosione vista da Kseniya dalla finestra di casa
Un'esplosione vista da Kseniya dalla finestra di casa

È nel suo appartamento mentre racconta in videochiamata al Giornale di Brescia cosa significa imparare a convivere con la guerra da un giorno con l’altro. «Erano le 5 del mattino quando è iniziato l'attacco, ma io mi sono svegliata alle 9.30 solo quando mi hanno bussato alla porta come pazzi urlando che dovevo scappare - dice -. Nessuno qui si aspettava che la guerra scoppiasse veramente: stavamo facendo piani per le vacanze, lavoravamo normalmente. È stato uno shock totale. Neanche panico, proprio shock».

Nel palazzo di Kseniya, nel centro benestante di Kharkiv, i condomini si sono organizzati in fretta: hanno riunito le provviste che avevano in casa, cibo in scatola, acqua in bottiglia, medicinali, e si sono trasferiti nel garage diventato rifugio notturno e diurno, senza riscaldamento. «Il primo giorno, mentre la Russia attaccava già i confini, sono corsa anche in farmacia a prendere delle pillole per calmarmi. Altri hanno comprato dell’alcol, ma tutti avevano qualcosa, altrimenti saremmo impazziti» prosegue Kseniya.

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Il rifugio nel garage del condominio dove vive Kseniya, a Kharkiv

In pochi giorni tutti hanno iniziato a riconoscere dal rumore quali bombe cadono e a quale distanza. E sono i sibili e i boati che ormai scandiscono il tempo di Kharkiv, atterrendo di notte quando i bombardamenti si intensificano e le luci sono spente per non farsi individuare dagli aerei russi, il morale è basso e si aspetta solo la mattina per tornare a sperare che gli aiuti esterni mettano fine alla guerra. Kseniya parla di una routine emotiva collettiva, dove l’alternanza di disperazione e combattività è diventata normale. «L’hai sentito questo rumore? È una bomba, appena caduta, ma non è qui vicino» dice buttando un’occhiata veloce fuori dalla finestra.

Resistenza civile

Un gruppo di persone prepara le molotov in strada a Dnipro - Foto Stanislav Kozliuk/Epa © www.giornaledibrescia.it
Un gruppo di persone prepara le molotov in strada a Dnipro - Foto Stanislav Kozliuk/Epa © www.giornaledibrescia.it

Intanto nei cortili e nei sotterranei i civili fabbricano armi con i mezzi che hanno a disposizione, come succede in altre città dell'Ucraina. Nelle vie di Kharkiv sono le donne, soprattutto nonne, a gestire la filiera dei resistenti che costruiscono le molotov, le bottiglie incendiarie da scagliare contro i russi. Anche Ksenyia ha partecipato. Le donne sono le stesse che portano i medicinali ai malati e ritagliano dai vestiti bande gialle da mettere sulle braccia dei soldati ucraini per differenziali dai nemici. Le strade ormai sono pericolose e chiunque esce gira con qualcosa per difendersi: «In borsa ho un coltello, uno spray e un accendino - racconta la 23enne -. Non è un granché ma devo potermi difendere in qualche modo. Tante persone hanno iniziato a rubarsi il cibo a vicenda oltre che dai supermercati, che stanno aperti due ore al giorno, dalle 11 all'1, perché è l'orario in cui diminuiscono i bombardamenti. Ieri però alcuni civili sono stati uccisi da una bomba fuori da un negozio di alimentari. Mio padre ha rischiato: lui e mia madre vivono dall’altra parte della città, vicino al confine russo, e mentre era fuori per prendere il pane una bomba è caduta sul blocco degli edifici vicino». 

La fame

  • Rifugiati ucraini in Ungheria e Polonia
    Rifugiati ucraini in Ungheria e Polonia
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  • Rifugiati ucraini in Ungheria e Polonia
    Rifugiati ucraini in Ungheria e Polonia

Oltre alle bombe, Kharkiv deve affrontare un altro enorme problema, che si fa più stringente di ora in ora: la fame. Nella città assediata i rifornimenti vengono inviati dalle associazioni che radunano i beni di prima necessità spediti da tutta Europa. Li caricano sui treni che due volte al giorno attraversano il Paese per evacuare i residenti di Kharkiv e poi tornano in città. Un tragitto rischioso, perché facile bersaglio dei russi, che molti scelgono di non intraprendere. «Gli aiuti ci commuovono, ma qui tutti hanno bisogno di aiuto, siamo un milione e mezzo di abitanti - spiega la giornalista ucraina -. Chi può rinuncia: i giovani danno il cibo ai bambini e agli anziani, i pannolini e gli assorbenti si fanno con i vestiti».

Il coraggio di restare

Il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy parla al Parlamento europeo - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy parla al Parlamento europeo - Foto Epa © www.giornaledibrescia.it

Ad andarsene Ksenyia non ci pensa nemmeno: «Non mi perdonerei mai di abbandonare i miei genitori. E poi questa è la mia città. Vogliamo restare, fino alla fine: nostra o di Putin. Ieri ho dormito nel mio appartamento, mi è passata anche la paura di morire». È un coraggio diffuso a Kharkiv, dove anche ieri missili russi hanno colpito diversi edifici residenziali e governativi nel centro città, secondo quanto riportato dalla protezione civile ucraina. 

E a supportare il morale dei cittadini c’è, inaspettatamente per gli stessi ucraini, il presidente Volodymyr Zelenksy, che lunedì ha tenuto un discorso notevole al Parlamento europeo. Ksenyia confessa di non essersi mai sentita così orgogliosa del suo presidente: «Ogni volta che lo sento parlare piango. Ecco perché gli ucraini non abbandonano Kharkiv e le altre città: perché lui non ha abbandonato noi quando ne ha avuto la possibilità. Se dovesse farlo, non so come potremmo reagire».

Il sogno della bandiera a stelle

Dalle macerie della guerra il sogno di Ksenyia e tanti altri resta l’Unione europea. Quella bandiera blu a stelle gialle che gli ucraini non vogliono solo come simbolo ma cui sentono di appartenere, di cui gridano a gran voce i valori e a cui, oggi, chiedono di essere ammessi per salvarsi. «Putin non immagina quanto bene ci abbia fatto attaccandoci così - conclude Ksenya, che in queste ore ha anche rifiutato un dottorato a San Pietroburgo perché «trasferirmi in Russia sarebbe una vergogna insostenibile» -. Siamo più forti e saldi che mai. Per sconfiggerci devono venirci a prendere uno alla volta». 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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