Italia e Estero

Tutti (o quasi) con Draghi: l'opposizione si riduce al minimo

Il lavoro di tessitura del premier incaricato sta dando i suoi frutti: la Lega si avvicina e lascia sola Giorgia Meloni
Il presidente incaricato, Mario Draghi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente incaricato, Mario Draghi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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In quattro giorni la conversione è quasi completa. Matteo Salvini incontra Mario Draghi, la persona «assolutamente stimabile» incaricata di formare un nuovo governo. Ma se «il problema è chi lo sostiene», aveva detto il leghista il giorno stesso della chiamata al Colle dell'ex presidente Bce, dopo dopo mezz'ora di colloquio con il premier incaricato, Salvini esce e dichiara di essere pronto a «mettersi a disposizione». Senza porre condizioni né veti ad altri e «per il bene dell'Italia». Cruciale - spiega poi soddisfatto - la sintonia scoperta sui temi citati durante le consultazioni con l'ex banchiere centrale: lavoro, sviluppo, tasse, imprese e perfino Europa. «Un'idea dell'Italia che per diversi aspetti coincide», azzarda.

La Lega insomma è a un passo dallo sciogliere la riserva per entrare nella maggioranza bulgara che potrebbe sostenere il successore di Conte: quella precedente più Forza Italia e Lega lasciando solo, all'opposizione, il partito di Giorgia Meloni e rompendo così l'unità del centrodestra. Lo nega Salvini: «Per me l'unità del centrodestra era ed è un valore» e si giustifica con il «momento eccezionale» dell'Italia, citando il «governone» figlio del secondo dopoguerra.

 

Il leader della Lega, Matteo Salvini - Foto Ansa/Roberto Monaldo © www.giornaledibrescia.it
Il leader della Lega, Matteo Salvini - Foto Ansa/Roberto Monaldo © www.giornaledibrescia.it

 

Insomma è un nuovo 1945, un unicum breve e a termine, che potrebbe far mandar giù il rospo. Un quasi carpiato del capitano evidente già nell'aspetto (rilassato e sorridente) e nel linguaggio, quasi ecumenico: «Il bene del Paese deve superare interesse personale e partitico», ripete alla stampa. Sorprende il passaggio sull'Europa: «Siamo in Europa, i nostri figli crescono in Europa», senza rinunciare a «difendere gli interessi dell'Italia». Da qui le «buone sensazioni» avute dall'incontro con l'ex presidente della Bce, che definisce «in forma, attento e propositivo». E non nasconde: se la Lega entrerà nella maggioranza, lo farà da protagonista, non comprimaria alla finestra. «Se sarà un sì, sarà un sì convinto non un forse», sentenzia. Tradotto, non rinuncerà a «contare» con propri uomini nella squadra - da Giancarlo Giorgetti in giù - anche se tutti giurano che di ministri (tecnici o politici che siano) non si è parlato a Montecitorio. Potrebbe avvenire martedì, nel secondo round di consultazioni

Incalzato dalla stampa sul proprio ruolo, Salvini ammette: «Preferisco esserci e controllare» e va al sodo: «Preferisco essere nella stanza dove si deciderà come spendere i 209 miliardi del Recovery plan». Un boccone che fa gola a tutti e che può fare la differenza nelle scelte, a maggior ragione per un partito trainato ancora dal nord più produttivo e che è «il primo del Paese», rivendica Salvini. In più ci sono i numeri in Parlamento: sia alla Camera che al Senato è il secondo gruppo con 131 deputati e 63 senatori, subito dopo il M5S e prima di Pd e FI. Rapporti di forza che incideranno anche negli equilibri della nuova maxi maggioranza, se si formerà. Ne resterà fuori Fratelli d'Italia, ferma sul «no» alla fiducia e che potrebbe virare sull'astensione di fronte a un programma e nomi di peso a cui sarebbe difficile dire di no. 

 

Beppe Grillo e Vito Crimi, del Movimento 5 Stelle - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Beppe Grillo e Vito Crimi, del Movimento 5 Stelle - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it

 

E il sostegno della Lega a Mario Draghi scombussola i piani di una «maggioranza Ursula» e rischia di cambiare l'assetto che l'ex presidente della Bce potrebbe aver avuto in mente fino ad oggi per il suo esecutivo: non più un Governo tecnico, sia pure con una forte connotazione e presenza politica, ma un Esecutivo di unità nazionale più simile a quello che fu guidato da Dini. Dunque, ministeri tecnici, eventualmente alcuni anche spuri, con esperti d'area, ma non espressione diretta dei partiti. Con questa configurazione l'asset squisitamente politico potrebbe essere compreso nella squadra dei vice e sottosegretari, con deleghe specifiche. Obiettivo - si ragiona in ambienti politici della vecchia maggioranza - alleggerire Draghi dall'esercizio troppo gravoso del «bilancino» nella formazione e conduzione del Governo. E rendere la scelta dei ministri più facile da digerire per i partiti, allontanando pericolosi veti incrociati. Eventualmente mantenendo una figura politica nel ministero che simbolizza il rapporto tra governo e camere: quello dei Rapporti con il Parlamento. 

Da qui la nuova girandola di indiscrezioni sul toto-ministri: si ripresentano quindi i nomi di Marta Cartabia per la Giustizia, di tecnici come Lucrezia Reichlin, Dario Scannapieco, Daniele Franco o Luigi Federico Signorini per il Mef, anche se quest'ultimo - si sotolinea in ambienti politici - sembrerebbe più orientato a futuri ruoli apicali in Bankitalia. Senza escludere super-manager come Vittorio Colao per le questioni chiave del recovery e delle imprese. Intanto, l'incertezza sulla data dei possibili colloqui con le parti sociali, inizialmente previsti per lunedì prossimo, potrebbe rappresentare la spia di un programma di Governo da definire con altri canoni, alla luce degli sviluppi seguiti all’incontro con Salvini. 

La pausa del weekend servirà al premier incaricato per raccogliere le idee. Il suo obiettivo - si ragiona in ambienti parlamentari - è raccogliere una maggioranza più ampia possibile su un programma che coinvolga i partiti sui temi loro più cari, smussando gli angoli sui temi più divisivi. Se c'è un filo comune col Draghi che tesseva alleanze nel Consiglio Bce e nei tavoli europei e isolava la Bundesbank stringendo un asse d'acciaio con la Merkel, è che fino all'ultimo l'ex presidente della Bce tiene le carte coperte. Ascolta, ma non si lega le mani. Conta sulla forza inerziale che ha provocato un terremoto fra i partiti, riuscendo a mobilitare una maggioranza solida. Mantenerla richiederà un programma asciutto incentrato sui cinque punti essenziali, sono convinte molte forze politiche che hanno incontrato l'incaricato durante il primo giro di consultazioni: lotta alla pandemia, emergenza vaccini, accelerazione della ripresa, coesione sociale, giovani.

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