Italia e Estero

Superbonus, «buco» da 38 miliardi: le imprese chiedono di tagliare il cuneo fiscale

Sale la tensione sul 110%, Meloni difende la revisione al 90%, il M5s all’attacco. FI tenta una modifica
Un cantiere, in un'immagine d'archivio - © www.giornaledibrescia.it
Un cantiere, in un'immagine d'archivio - © www.giornaledibrescia.it
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Si alza la tensione sul Superbonus, che torna al centro delle polemiche. La modifica introdotta dal governo Meloni per «correggere» le «distorsioni» del sistema crea fibrillazioni fuori e dentro l’esecutivo. Nel mirino finisce soprattutto la scelta di cambiare le regole in corsa, con l’affondo del M5s, di cui questa è stata una misura bandiera, ma anche con Forza Italia già pronta a modifiche in Parlamento. Il governo però difende la decisione, e prepara modifiche anche sul grande nodo della cessione dei crediti.

La revisione

A rendere necessario l’intervento, che innanzitutto riduce da gennaio l’aliquota dal 110% al 90%, è il fatto che in questi anni il Superbonus, nato «meritoriamente» per aiutare l’economia, alla fine «ha creato molti problemi», a partire dall’eccessivo costo per lo Stato: un macigno da 60 miliardi, che ha lasciato «un buco di 38», spiega la premier Giorgia Meloni difendendo in conferenza stampa la misura contenuta nel decreto Aiuti quater appena approvato dal cdm e oggetto già giovedì di diversi malumori. Inoltre, la copertura al 110% ha «deresponsabilizzato chi la usava», favorendo di fatto «prevalentemente i redditi medio alti», spiega ancora la premier. Con la revisione del 110% Meloni si augura di liberare nuove risorse proprio con scelte come quella sul superbonus. Accanto a lei il titolare dell’economia Giancarlo Giorgetti, sintetizza: «Non si è mai visto nella storia una misura che costasse così tanto a beneficio di così pochi».

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I crediti

Il governo difende anche l’urgenza dell’intervento, arrivato con decreto, anziché in manovra: c’era la necessità di fare chiarezza al più presto, spiega Giorgetti, che annuncia interventi («stiamo definendo una via d’uscita») anche sulla cessione dei crediti, che sta mettendo a rischio tante imprese. Ma una cosa deve essere chiara: si è creata l’idea che il credito di imposta sia «sostanzialmente moneta», ma «non è così»; e anche «la cessione del credito è una possibilità, non un diritto». Con le nuove modifiche, che riaprono anche le porte alle villette, con un tetto ai redditi e con un primo accenno di quoziente familiare, si punta dunque a «concentrare in modo selettivo» gli aiuti a favore dei redditi medio-bassi. È una «scelta politica», rimarca Giorgetti, assicurando che la modifica «non è retroattiva» e salvaguarda chi ha già deliberato i lavori. La misura tuttavia agita gli animi, fuori e dentro la politica.

L’associazione dei costruttori avverte che «cambiare le regole in 15 giorni significa penalizzare» le fasce deboli. Mentre dall’Abi agli artigiani si moltiplicano gli appelli perché si acceleri sullo smobilizzo dei crediti. E da dentro la maggioranza Forza Italiaannuncia un emendamento per spostare almeno di un mese la fine del 110%.

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