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«Schiaffi, pugni, calci: così è morto Stefano Cucchi»

A sette anni dalla morte di Stefano Cucchi la Procura di Roma per la prima volta ipotizza il reato di omicidio e lo scrive nero su bianco
L'avvocato Corrado Oliviero durante il processo per la morte di Stefano Cucchi - Ansa/Angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
L'avvocato Corrado Oliviero durante il processo per la morte di Stefano Cucchi - Ansa/Angelo Carconi © www.giornaledibrescia.it
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Schiaffi, pugni, calci che determinarono una «rovinosa caduta», poi «la condotta omissiva dei sanitari» che non lo curarono adeguatamente. 

Così è morto Stefano Cucchi, così a sette anni dalla sua morte la Procura di Roma per la prima volta ipotizza il reato di omicidio e lo scrive nero su bianco. E sempre per la prima volta i tre carabinieri che fermarono il geometra al Parco degli Acquedotti rischiano di finire in un'aula di Tribunale con l'accusa di omicidio preterintenzionale. 

A conclusione dell'inchiesta bis sulla morte di Cucchi, avvenuta il 22 ottobre 2009, una settimana dopo il suo arresto per droga, piazzale Clodio ha notificato il relativo avviso di chiusura indagine, attività che anticipa la richiesta di rinvio a giudizio, ai tre militari dell'Arma che fermarono Cucchi: Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, in servizio, all'epoca dei fatti, presso il Comando Stazione di Roma Appia. Per tutti l'accusa è anche di abuso di autorità mentre Tedesco è indagato anche per falso. 

Il procuratore Giuseppe Pignatone ed il pm Giovanni Musarò contestano inoltre, per le accuse rivolte agli agenti della penitenziaria, il reato di calunnia a Roberto Mandolini, comandante Interinale della stazione Roma Appia, allo stesso Tedesco ed a Vincenzo Nicolardi. Per Mandolini anche un'imputazione di falso. 

Secondo gli inquirenti «schiaffi, pugni e calci» procurarono a Stefano lesioni che «durante la degenza presso l'ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subìto». Tutto ciò «ne determinò la morte». 

«In particolare - scrivono i pm nell'avviso di chiusura indagine - la frattura scomposta» della vertebra S4 e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l'insorgenza di una vescica neurogenica e una difficoltà nell'urinare».

Un quadro clinico che «accentuava, per l'accusa, la bradicardia giunzionale con conseguente aritmia mortale». Nessun riferimento, dunque, all'epilessia, indicata in una precedente perizia come probabile causa del decesso. 

Esulta Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, da sempre convinta sostenitrice della necessità di configurare l'accusa di omicidio preterintenzionale: «Non lo so come sarà la strada che ci aspetta d'ora in avanti - ha commentato - sicuramente si parlerà finalmente della verità, ovvero di omicidio». «Siamo emozionati e soddisfatti da questa conclusione che abbiamo atteso per anni - ha dichiarato l'avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi - questa è la verità che emerge: omicidio, calunnia e falso i reati contestati che danno l'idea di cosa sia successo quella sera a Stefano». 

Per l'avvocato Eugenio Pini, difensore di uno degli indagati, tale contestazione «non potrà essere provata nel giudizio in quanto gli elementi di fatto su cui fonda non sono riscontrabili in atti e, tanto meno, nella perizia disposta dal Gip con incidente probatorio». 

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