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Sara, bresciana a Wuhan: «Noi siamo ancora in quarantena»

La città cinese da cui è partita l'epidemia da coronavirus è chiusa dal 23 gennaio. La prof: «Ora in bocca al lupo a voi»
SARA, IL RACCONTO DA WUHAN
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I primi giorni di febbraio l’avevamo contattata per chiederle se sarebbe salita su uno dei voli organizzati per il rimpatrio dei connazionali, e lei ci aveva risposto che Wuhan ora è casa sua e lì avrebbe aspettato la fine dell’emergenza.

Le avevamo chiesto di raccontarci della quarantena, degli ospedali, del timore di un virus sconosciuto. Ora quella realtà che ci incuriosiva e allo stesso tempo ci faceva paura è diventata la nostra. E così le abbiamo chiesto come vanno ora le cose laggiù.
Sara Platto, bresciana, a Whuan vive ormai dai anni insieme a suo figlio e alla locale università Jianghan insegna benessere e comportamento animale.

«Siamo ancora in quarantena - racconta -. Ieri abbiamo avuto un solo caso, ma non basta. Fino a che non ci saranno giorni continuativi con zero contagi non ripartiremo». Il blocco di Wuhan è scattato il 23 gennaio.

Qualcosa inizia lentamente a muoversi, alcune province cinesi hanno già riaperto, l’Hubei procede con cautela. «Alcuni manager di grosse aziende hanno ricominciato ad andare in ufficio per pianificare la ripresa - dice Sara -, si procederà settore per settore». La Cina cerca insomma di tornare alla normalità. Ma fino a che non ci saranno più giorni senza nuovi contagi a Wuhan non sarà concesso di ricominciare a uscire.

«Durante tutta la quarantena ho dovuto contattare quotidianamente il gruppo di riferimento creato all’interno del palazzo in cui viviamo. Ogni giorno ho dovuto comunicare quante persone vivono nel mio appartamento e certificare il nostro stato di salute. Lo scorso venerdì, poi, sono arrivati altri addetti alla gestione del nostro residence, con tanto di tute, guanti e mascherine: hanno chiesto le nostre generalità e ci hanno provato la temperatura». L’obiettivo è quello di fare una ricognizione della popolazione e del suo stato di salute.

E in Italia? «Voi potete uscire a fare la spesa o una passeggiata - dice Sara -. Noi no. Sono due mesi che siamo in casa, dal 23 gennaio io e mio figlio siamo usciti tre volte per raggiungere il cancello del nostro residence e ritirare la spesa. Wuhan è una città chiusa».

Tutto si è fermato, anche le aziende. «Capisco la paura dell’industria italiana, ma mi auguro che siano state prese tutte le precauzioni del caso per evitare il diffondersi del contagio. Wuhan sostiene il 4% dell’economia cinese, eppure è ferma».

I pensieri di Sara, nel pieno dell’emergenza coronavirus in Italia, non possono poi che correre ai genitori e alla sorella che vivono a Brescia.
«Mio padre e mia madre non sono giovani, è naturale che sia preoccupata per loro - ammette -. Ma hanno seguito il mio percorso qui a Wuhan, gli ho detto come comportarsi e cosa fare e spero che seguano quello che gli ho spiegato».

Ci salutiamo. «Non posso che dirvi in bocca al lupo, ora tocca a voi. Mi raccomando - conclude la professoressa Platto -: seguite le indicazioni e state a casa. Andrà tutto bene, io e mio figlio non ci siamo mossi da Wuhan, ma seguendo le regole non siamo stati contagiati dal coronavirus».

 

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