Italia e Estero

Non solo profughi: a Isaccea c’è chi vuole rientrare in Ucraina

Il porto fluviale romeno è diventato un crocevia tra chi scappa dalla guerra e chi rientra a Odessa
  • Persone che da Isaccea ripartono verso l'Ucraina
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Quando i primi profughi ucraini hanno iniziato ad attraversare il Danubio alla frontiera di Isaccea, un paese di cinquemila abitanti nel sud-est della Romania poco distante dal Mar Nero, l’attacco dei russi era appena iniziato e nei dintorni nessuno si aspettava che la zona sarebbe diventata un crocevia così movimentato. «Qui facciamo turismo fluviale, non avremmo mai immaginato di vedere gente da tutto il mondo per la crisi ucraina» racconta Vera Mocanu, titolare di una guest house a Samova, a venti chilometri da Isaccea.

A più di un mese dall’invasione della Russia, in Romania sono arrivate 636mila persone: la maggior parte si è diretta a Bucarest, dove è più facile raggiungere il resto dell’Europa, ma altri sono rimasti vicino al confine nella speranza di poter tornare indietro. Al porto di Isaccea - una piattaforma in cemento sferzata dal vento in mezzo a campi e canneti deserti, con la dogana e uno spiazzo per l’imbarco - è questo che si vede.

Le voci

C’è una fila di gente che entra, i poveri a piedi e gli altri in macchina, e c’è una fila di gente che esce e aspetta la chiatta che le riporti a Izmail, in Ucraina, nella regione di Odessa. Tra questi c’è Juliya, 21 anni, studentessa di Economia internazionale che fino allo scoppio della guerra studiava a Kiev. Poi è scappata con la madre e il fratello minore in Bulgaria, mentre il padre è rimasto a Odessa, dove sabato pomeriggio è diretta anche lei. «Voglio tornare a fare una vita normale, non ha senso stare in Bulgaria a piangersi addosso - dice seduta per terra al molo di Isaccea, gli occhiali neri a coprirle il viso -. La nostra regione è più tranquilla delle altre, quindi in un certo senso abbiamo il dovere di provare a rientrare».

La possibilità che Odessa venga bombardata - com’è poi successo tra la sera di sabato e all’alba di ieri - non sembra scalfire né lei né le altre persone in fila, quasi tutte donne con bambini piccoli al seguito. «Torniamo perché è casa nostra, alcune attività hanno ripreso e siamo stanche di abitare altrove» spiega Anastaya, manager 24enne dal finestrino dell’auto.

Numeri incerti

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Profughi ucraini che partono da Isaccea

Stabilire quanto consistente sia questo controesodo è difficile. La polizia di frontiera rumena sostiene che dal 24 febbraio siano rientrate in Ucraina da Isaccea 2370 persone e ne siano arrivate 6965. Numeri che i volontari lì dalla prima ora liquidano come falsi: «Considerate che all’inizio la polizia qui non teneva traccia degli ingressi e delle uscite. I primi giorni abbiamo contato al giorno circa cinquemila persone in ingresso, che ora si sono ridotte a una media di 600. Però quelle che tornano in Ucraina, in proporzione, sono sempre quasi la metà» afferma Alex Harrison, 21enne ucraino-americano fra i primi ad arrivare a Isaccea per offrire aiuti umanitari quando ancora non c’erano le associazioni.

È un fenomeno difficile da quantificare per ora, ma la conferma che gli ucraini siano pronti a rimpatriare al primo momento utile arriva anche da Francesca Bonelli, responsabile della missione in Moldavia per l’Unhcr, l’Alto commissariato per i rifugiati della Nazioni Unite: «Molti dei 97mila profughi ucraini attualmente in questo paese restano qui perché sono più vicini all’Ucraina, nell’eventualità che si apra uno spiraglio per tornare». A Isaccea quel varco di possibilità passa dalle notizie che arrivano dall’altra sponda del Danubio. «Oggi è un giorno buono, partite. Oggi va male, restate». Y., una giornalista di Odessa che fa avanti e indietro per portare aiuti nelle città assediate, legge nella volontà di tornare il segno di una presa di coscienza nuova: «Siamo stati a lungo soggiogati dalla storia russa. Ora stiamo capendo che abbiamo una nostra identità. E le persone non possono vivere a lungo lontane da casa. Per questo si torna». Anche se le bombe cadono vicine.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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