Italia e Estero

Dalla Regione il piano per frenare il fenomeno dei suicidi in carcere

Moratti: «Assumiamo i medici specializzandi». La garante dei detenuti: «Fatti oltre ai progetti»
Una persona detenuta in carcere - © www.giornaledibrescia.it
Una persona detenuta in carcere - © www.giornaledibrescia.it
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Costretti a condividere pochissimi centimetri quadrati di spazio e centimetri cubi di ossigeno. Chiamati ad attendere il processo, ma anche a contare i giorni che mancano alla liberazione senza un lavoro, senza una prospettiva.

A farlo misurandosi con il Covid e con tutte le limitazioni che la pandemia ha imposto - prima tra tutte l’assenza di visite e di colloqui - e negli ultimi mesi a pregare anche per un pizzico di contraria tra le sbarre, unico sollievo possibile alla fornace nella quale l’estate più calda di sempre ha trasformato gran parte delle carceri italiane.

La rete

In queste condizioni la tendenza a gesti estremi ha fatto registrare un rimbalzo preoccupante. Le statistiche parlano chiaro. Nel 2021 sono stati 57 i suicidi nelle carceri di tutta Italia. Dall’inizio del 2022 sono già 41 quelli registrati.

La Lombardia non è immune dal fenomeno. Il Pirellone ha di recente aggiornato il piano di prevenzione del rischio suicidio, un documento elaborato da rappresentanti dell’area sanitaria e penitenziaria. Il piano prevede un approccio multidisciplinare al problema, linee guida di interventi e l’attivazione di una rete di attenzione capace, almeno nelle intenzioni, di captare segnali di disagio. «Un percorso - ha evidenziato la vicepresidente della Regione Letizia Moratti - potrebbe consistere nel coinvolgimento degli attori del sistema per attivare una rete in grado di rilevare sofferenze emotive correlabili ad un rischio di suicidi».

Moratti non ignora la «difficoltà dell’ambito carcerario di reperire personale sanitario» e immagina il coinvolgimento di «medici specializzandi, come avviene in Pronto Soccorso».

Teoria e pratica

Un’idea, quest’ultima, che incontra il placet di Luisa Ravagnani garante dei detenuti di Brescia. «È necessario moltiplicare le figure sanitarie, magari pensando anche ad un incentivo economico per chi - ci ha detto - intraprende un cammino professionale all’interno delle strutture penitenziarie».

Per la garante dei detenuti serve molto altro. «Ben vengano i piani, ma bisogna riempirli di contenuti. Di persone in particolare. Che percorsi rieducativi individualizzati possiamo fare se ci sono realtà carcerarie in cui c’è un solo educatore per 150 detenuti? Che si parli di carcere e di condizione detentiva è sicuramente un bene, ma non basta. Servono risorse, investimenti».

Quanto al rischio suicidi per Luisa Ravagnani, oltre ai piani, utile sarebbe anche «sottrarre tossicodipendenti, persone che soffrono di disturbi psichiatrici e più in generale le persone più fragili, dalle strutture carcerarie tradizionali». In ogni caso per contenere il fenomeno la strada da seguire per la garante dei detenuti è sempre la stessa. «Bisogna investire in concreto - ci ha detto - e non solo a parole.

Di carcere si parla quando esce la relazione Antigone, a Ferragosto in occasione di qualche visita, a Natale perché è Natale, poi, almeno a Brescia, quando riprende vigore il dibattito su carcere nuovo sì, carcere nuovo no. Poi sistematicamente il tema finisce in soffitta. Ed è un errore: la condizione carceraria non interessa solo i detenuti, ma la società intera. Oltre ad un tema di dignità della persona, coinvolge la stessa questione sicurezza: un carcere che rieduca abbatte la recidiva e ciò torna a vantaggio di tutti».

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