Italia e Estero

«Cessata la fase dei soccorsi comincia la vera emergenza per la Romagna»

Ritirata l’acqua, sono fango e detriti il vero nemico da affrontare. I bresciani impegnati anche a Faenza
I quartieri di Faenza percorsi da fango e mobili. Le foto sono state scattate dai volontari bresciani Cisom
I quartieri di Faenza percorsi da fango e mobili. Le foto sono state scattate dai volontari bresciani Cisom
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«Non chiamateci eroi: siamo solo soccorritori e orgogliosamente parte di quei 5mila volontari di 160 associazioni che costituiscono il braccio operativo della Protezione Civile di Brescia». Da Palazzolo e Calcinato i nostri volontari rifiutano il ruolo con cui molte persone si sono rivolte a loro dopo i salvataggi gestiti in acqua con i gommoni e a forza di braccia.

«Siamo tornati sabato ma con la testa siamo ancora nell’acqua che circondava case e quartieri, faceva affondare interi paesi nella melma e che ha annegato decine di migliaia di animali».

I volontari di Palazzolo e Calcinato in visita al GdB -  © www.giornaledibrescia.it
I volontari di Palazzolo e Calcinato in visita al GdB - © www.giornaledibrescia.it

La riflessione

Al ritorno a casa il coordinatore dei 18 bresciani impegnati in Bassa Romagna, Marco Belotti, non nasconde l’importante esperienza vissuta. «Per noi operativi questa missione è stata fondamentale per cementare le esperienze e le tecniche al netto delle persone salvate e dei problemi risolti». Il pensiero tuttavia corre sempre chi è laggiù, a Massa Lombarda e Sant’Agata sul Santerno, a gestire l’emergenza tra fango e disperazione. «Il paradosso è che dopo il salvataggio la vera emergenza in Emilia Romagna comincia adesso, quando l’acqua defluisce e a terra restano detriti e fango, tantissimo fango. Una sorta di cemento che con il bel tempo si solidifica e diventa una trappola per uomini e mezzi».

Nel fango con le pale - © www.giornaledibrescia.it
Nel fango con le pale - © www.giornaledibrescia.it

Fanno eco alle parole dei volontari del Soccorso Fluviale Alluvionale gli inviati da Brescia del Cisom, «Corpo Italiano del Soccorso dell’Ordine di Malta». «Il paradosso è che dopo l’inondazione temiamo il bel tempo: la pioggia lava via l’enorme quantità di fango che si accumula in strada e che con il sole si serrerà in una morsa pazzesca. Bloccherà tutto anche se i nostri bobcat potranno forse muoversi meglio fuori dalla palta. Ma il rischio è che tutto si cementi a terra e là dove già non si riesce a passare ci sarà l’ulteriore ostacolo della crosta che si fissa a terra».

Anche a Faenza

I volontari bresciani sono stati chiamati ad operare anche a Faenza oltre che a Massa Lombarda e Sant’Agata sul Santerno: «Siamo qui da un paio di giorni. Prima abbiamo operato nei negozi di alcune vie del centro, poi ci hanno spostato in un quartiere popolare dilavato da una piena che ha raggiunto i primi piani. Ai piani terra ha spazzato tutto: mobili, abiti, oggetti. Qui c’è gente a cui non è rimasto nulla» spiegano Marina Scardi Coppola de Almarza, Andrea Semprini e Sebastiano Provenzano. Sono tre voci di una squadra di una trentina di volontari inviati nelle zone alluvionate dal coordinamento Cisom.

«Noi operiamo con pale, pompe e idrovore, ma il lavoro è immane. Il fango è ovunque e il caldo comincia a farsi sentire da quando non piove. Il fango solidifica in croste sino a 30 o 40 centimetri e le pale possono fare poco davanti alla persistenza dei detriti. Ovunque è desolazione e distruzione. Ma la gente non si arrende. Noi lavoriamo con loro ma la differenza è che loro lottano. Una battaglia per la sopravvivenza e per cercare di tornare a prima del disastro» racconta Marina Coppola.

La rabbia si sostituisce alla rassegnazione: «La gente ha voglia di fare. Imbraccia le pale, i secchi. Il problema è che arriva qui senza dispositivi di protezione individuale, scarpe rinforzate, caschi o guanti. Qui tutto è pericolo. Negli scantinati ci sono vetri, pezzi di acciaio affilato e il rischio che ci si faccia male è altissimo». Come dicevano gli altri volontari bresciani già rientrati «il rischio è che i volontari si mettano in pericolo. Sarebbe un problema in più, di cui certo non c’è bisogno».

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