A Brescia la sorella di una vittima della 'ndrangheta: «Spero che Messina Denaro parli»
Racconta che l’emozione è stata anche superiore alla sorpresa per un arresto che ormai sembrava impossibile. «La cattura di Matteo Messina Denaro è stata una bellissima notizia per l’Italia intera e anche per noi familiari vittime di mafia che aspettavamo questa notizia un po’ di anni fa. È la dimostrazione che lo Stato c’è. È presente e lavora». Le parole sono di Marisa Garofalo, la sorella di Lea, testimone di giustizia e vittima di ’ndrangheta, uccisa a Milano il 24 novembre del 2009.
«Trent’anni di latitanza e di caccia all’uomo sono tanti non possiamo nasconderci. Ci sono molti punti interrogativi sull’arresto di Messina Denaro. Ci sono dei dubbi sul perché sia avvenuto proprio adesso. Di certo la mafia c’è ancora e non possiamo pensare che la cattura del boss di Cosa Nostra abbia sconfitto la criminalità organizzata così come sono convinta che continui anche la trattativa Stato-mafia» dice Marisa Garofalo.
Che senza giri di parole aggiunge: «Non escludo nemmeno che Stato e mafia abbiano trattato anche per la cattura di Matteo Messina Denaro. Forse lo scopriremo più avanti. Io - prosegue - sono convinta che non parlerà come non hanno parlato Provenzano e Riina.
Vorrei che lo facesse anche per i familiari delle vittime di mafia che aspettano verità e giustizia, ma non credo voglia farlo anche perché un mafioso di un certo calibro non mette a rischio la sua famiglia».
Nel nome della sorella

Questa mattina Marisa Garofalo parlerà agli studenti del Liceo Leonardo. Racconterà la storia di sua sorella che, figlia di un padre ucciso nella «faida di Pagliarelle» e con un fratello che prima vendicò la morte del genitore e poi venne a sua volta ucciso dalla ’ndrangheta l’8 giugno 2005, ha voltato le spalle al mondo criminale. Scappando dalla Calabria e denunciando.
«Si è dissociata, ha preso le distanze dalla criminalità organizzata. Lea è stata la dimostrazione che è possibile denunciare, come lei ha fatto con l’ex compagno e la famiglia. Però...». C’è un però pesante come un macigno. «Però nella vicenda di mia sorella è venuto meno lo Stato. Lei è stata abbandonata più volte dallo Stato nel corso del programma di protezione provvisorio che è durato sette anni. Lea non ha mai avuto documenti di copertura e nemmeno un lavoro. Ci sono state grandi responsabilità istituzionali per le quali nessuno pagherà mai».
L'omicidio
La donna venne uccisa in un appartamento nel Milanese nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009, e il cadavere venne distrutto in 50 litri di acido in un terreno a San Fruttuoso, a Monza. Per l’omicidio di Lea Garofalo sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo l’ex compagno Carlo Cosco, Vito Cosco, Rosario Curcio e Massimo Sabatino e a 25 anni Carmine Venturino. «C’è sempre stata la paura che potesse finire così» ammette al sorella Marisa. «Perché lei è stata la prima testimone di giustizia calabrese, una donna che si è ribellata ad un sistema criminale, che ha avuto la forza di raccontare cosa succedeva. Quando prima di essere uccisa ha subìto un tentato rapimento anche lei a quel punto ha capito che l’avrebbero uccisa».
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