Italia e Estero

Violenza sulle donne, il racconto sui media migliora

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(di Agnese Ferrara) ROMA, 26 NOV - La narrazione dei media su femminicidi e violenza di genere è migliorata, non si parla quasi più di 'raptus' che giustifichi gli aggressori ma c'è ancora molta strada da fare, soprattutto quando le vittime sono donne più anziane e disabili. Così il nuovo rapporto sui primi sei mesi del 2025 sul contrasto a stereotipi e pregiudizi nella rappresentazione della violenza contro le donne dell'Osservatorio Step Ricerca e Informazione dell'università Sapienza di Roma. Presentato oggi alla Federazione nazionale della stampa il monitoraggio ha incluso 26 testate nazionali e 2.324 articoli di cronaca pubblicati sui principali giornali. I quotidiani che hanno condiviso il maggior numero di articoli sui casi di violenza nei confronti delle donne sono Il Messaggero (8,43%), Il Giorno (8,22%), La Gazzetta del Mezzogiorno (7,92%) e La Nazione (6,67%). Seppure i maltrattamenti familiari siano il 51,7% dei casi registrati dalla Polizia, seguiti dagli atti persecutori (34,3%) e dalle violenze sessuali (13,7%) il racconto sulla stampa è soprattutto concentrato sui femminicidi. La vittima conosce il suo aggressore in circa il 98% degli articoli e a commettere violenza sono i partner, mariti, ex e familiari nel 75% dei casi. A chi viene data voce negli articoli? All'aggressore (76% dei casi). "Di norma la stampa tende a dare più voce alla parte dell'aggressore e ai suoi legali contribuendo al cosiddetto fenomeno himpaty (ndr him-empathy, incrementare l'empatia verso l'autore della violenza) che sottrae vicinanza alla vittima e questo è ancora lo scoglio più duro, - ha spiegato Flaminia Saccà, presidente dell'Osservatorio Step e docente di sociologia alla Sapienza. Il monitoraggio Step include un focus sulle violenze su bambine/giovanissime e sulle anziane e disabili. A commettere violenza nei confronti delle bambine e delle giovanissime è soprattutto il padre (84% degli articoli) e la narrazione risulta più corretta e meno caratterizzata da stereotipi e linguaggio 'deresponsabilizzante' nei confronti dell'aggressore. Quando invece le vittime sono donne in età matura o con disabilità c'è ancora molta strada da fare. In caso di violenza su donne malate/disabili, si tratta per lo più di femminicidi (42%) seguito da violenza sessuale (31%) e lesioni personali (28%). "In questi casi purtroppo l'empatia verso l'aggressore sale ai massimi livelli, - ha sottolineato Saccà all'ANSA. - Una vittima giovane come Giulia Cecchettin ha profondamente inciso nel cambiare la narrazione sui media ed ha obbligato il paese a guardare questo tipo di fenomeni ma questo non vale verso le donne più grandi, anziane e malate dove si tende ad empatizzare con il loro aggressore che viene ad esempio descritto come un anziano innamorato che libera la vittima dalla sofferenza per amore". "La parola fondamentale è la prevenzione, bisogna parlarne di più e dappertutto. Nelle università e nelle scuole si deve approfondire la cultura di genere e del rispetto facendo tutti la nostra parte come intera società, - ha detto Maurizia Quattrone, vice questora della Polizia di Stato ricordando l'app della polizia YouPol che permette di lanciare allarmi in modo anonimo. "Da tre anni abbiamo attivato l'osservatorio con l'università Sapienza per monitorare la stampa, - ha precisato Mara Pedrabissi, presidente della Cpo, commissione pari opportunità della Fnsi. - Abbiamo il dovere di raccontare la violenza di genere in modo corretto e dal manifesto di Venezia del 2017 ad oggi sono stati fatti passi avanti ma molta strada è ancora da fare".

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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