Italia e Estero

«Riaprire con cautela è strategia vincente, Israele lo dimostra»

Francesca Levi-Schaffer, docente di Immunofarmacologia a Gerusalemme mette a confronto le scelte del suo Paese e dell’Italia
Tel Aviv, senza mascherina le persone si dirigono in spiaggia - Foto © www.giornaledibrescia.it
Tel Aviv, senza mascherina le persone si dirigono in spiaggia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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In tutto il mondo sono state somministrate finora un miliardo di dosi di vaccini anti-Covid, meno di cinque mesi dopo le prime inoculazioni. Più della metà del totale dei vaccini è stata fatta in tre Paesi: Stati Uniti (225,6 milioni), Cina (216,1 milioni) e India (138,4 milioni). In rapporto alla popolazione, è invece Israele il Paese più immunizzato: sei israeliani su dieci sono già completamente ccinati.

Di questo abbiamo parlato con Francesca Levi-Schaffer, docente di Immunofarmacologia all’Università ebraica di Gerusalemme. Italo-israeliana, ha avuto contatti anche con la provincia di Brescia perché a Edolo viveva sua zia Marika Carestia Levi che, alla sua morte avvenuta quattro anni fa, lasciò il suo intero patrimonio in beneficenza, con un’attenzione particolare a sostegno della formazione in Reumatologia ed Immunologia clinica.

Alle nostre domande hanno risposto la professoressa Levi-Schaffer insieme al suo collaboratore Pier Giorgio Puzzovio. Parlando della situazione in Israele, paese che sta tornando ad una graduale normalità, la studiosa si è soffermata sulla strategia vaccinale adottata.

«Senza dubbio, il fattore determinante è stata la sistematica somministrazione del vaccino a cominciare dalle categorie più a rischio (anziani, personale socio-sanitario) e sfruttando ogni spazio pubblico possibile (ospedali, cliniche, piazze, centri mobili, stadi). Questo ha permesso una distribuzione pressoché continua del vaccino, e ovviamente la speranza di tornare a vivere come prima ha spronato la popolazione a farsi vaccinare appena possibile».

Una «normalità» alla quale tutti noi vorremmo tornare il prima possibile, anche se le riaperture di questi giorni fanno temere che la situazione epidemiologica possa di nuovo peggiorare. Per Levi-Schaffer e Puzzovio «è un rischio non piccolo, dal momento che abbiamo visto una situazione simile anche in Israele: nel momento in cui le restrizioni erano alleggerite, dopo i precedenti lockdown, il numero di casi tornava ad aumentare, e solo adesso, con la vaccinazione, stiamo piano piano riacquistando la nostra vita di sempre. Le aperture dovrebbero essere fatte con molta cautela, per evitare di incorrere in una nuova chiusura, almeno finché il vaccino non sia maggiormente disponibile».

Dunque, cautela. Nell’immediato e per il futuro, in attesa di sapere quanto durerà l’immunizzazione provocata dai vaccini. «Al momento le stime più affidabili affermano che la durata dell’immunizzazione dovrebbe essere di circa un anno, il che aprirebbe la strada alla possibilità di dover effettuare richiami annuali, come per l’influenza - spiega Levi-Schaffer -. Purtroppo gli studi sono ancora in corso, e prima di poter trarre una conclusione definitiva sulla durata dell’immunità ci vorrà del tempo».

La pandemia ha riportato sotto i riflettori, a livello globale, il valore scientifico e sociale dei vaccini quali strumenti essenziali per la tutela della salute pubblica. Eppure, ci sono molte persone che non si fidano e che non vogliono vaccinarsi. Chi non vuole vaccinarsi. Come invertire questa tendenza?

«Educando la gente a fidarsi della scienza e dei suoi progressi. La vaccinazione è determinante nel ridurre il numero di casi e la comparsa di mutazioni, e lo stiamo vedendo qui ogni giorno di più. Basti pensare che ad oggi, sono stati trovati soltanto 77 positivi, e che in Israele il numero dei casi è sceso da quasi 10.000 a gennaio 2021 solo grazie alla somministrazione del vaccino. Purtroppo, al vaccino è stato e viene dato un impatto mediatico spesso negativo, con notizie molto spesso contraddittorie, che mette in risalto i possibili effetti collaterali senza contestualizzare i dati statistici a riguardo, sfociando in un terrorismo che ovviamente spinge la popolazione a non fidarsi della vaccinazione per diversi motivi».

Dai risultati della campagna vaccinale in Israele, all’Italia in cui le persone anziane non sono state vaccinate all’inizio, ma non per prime. Per la docente di immunofarmacologia, se fosse iniziata subito con gli anziani «sicuramente avrebbe avuto un impatto significativo sul numero di decessi, specialmente per i pazienti con complicazioni o immunocompromissione. In contemporanea, si sarebbe comunque dovuto vaccinare il personale socio-sanitario a contatto con gli anziani, e questo avrebbe probabilmente diminuito ulteriormente il numero di vite perdute».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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