Nel Potentino sequestrata area inquinata ex Daramic, 13 indagati

POTENZA, 05 GIU - I carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Potenza hanno eseguito, in mattinata nell'area industriale di Tito (Potenza), il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dell'intera area della Daramic, multinazionale statunitense leader nel mercato della produzione di componenti per separatori di batterie. Si tratta di una superficie, paesaggisticamente vincolata, di 48 mila metri quadri all'interno di un sito d'interesse nazionale inquinato. Il provvedimento, emesso dal gip del Tribunale di Potenza ed eseguito con la notifica di conclusione indagini, è stato adottato nei confronti di 13 indagati: sei funzionari pubblici e sette appartenenti al management, tra cui due residenti oltralpe e due curatori fallimentari, tutti accusati di disastro ambientale aggravato, omessa bonifica e discarica abusiva. Le indagini, iniziate nel 2023, hanno riguardato i dirigenti delle società, ma anche alcuni funzionari pubblici che "pur conoscendo la gravità dell'inquinamento e l'inerzia del soggetto responsabile, in violazione di un obbligo giuridico - è spiegato in un comunicato firmato dal procuratore della Repubblica di Potenza facente funzioni, Maurizio Cardea - avrebbero omesso di sostituirsi ad esso e attuare le procedure di bonifica". L'accusa è la mancata rimozione di una sorgente primaria di contaminazione da tricloroetilene la cui attività avrebbe significativamente compromesso e deteriorato la falda acquifera ben oltre i confini del Sin, essendo stata rinvenuta la sostanza, con valori 110 volte superiori al limite di legge anche in aree a vocazione agricola e nel torrente Tora. Come ricordato nella nota della Procura potentina, la multinazionale, che ha cessato le sue attività nel 2010, è stata già in passato oggetto di indagini e provvedimenti: nel 2005 i terreni e le acque sotterranee allo stabilimento erano contaminati da tricloroetìlene (sostanza cangerogena superiore a un milione e quattrocentomila volte oltre i limiti); nel 2010 la sede lucana veicolava più di 19 milioni di euro oltralpe, sottraendoli alle risorse destinate alla bonifica. Ed anche la società nuova, nata da quell'operazione (la Step One), in cinque anni di vita non ha proceduto a bonifiche né ad attività imprenditoriali e conseguentemente chiuse per fallimento.
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