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Msf, in Darfur dilaga violenza sessuale contro donne e ragazze

epa12049099 A Sudanese woman, who fled from the internally displaced persons (IDP) Zamzam camp, rests while on her way to the Tawila Camps amid the ongoing conflict between Sudan's army and the Rapid Support Forces (RSF), in North Darfur, Sudan, 23 April 2025. The RSF claimed control of the Zamzam camp after its assault in April 2025. According to the UNHCR, over four million people have fled Sudan to neighboring countries since the outbreak of the armed conflict in April 2023. EPA/MARWAN MOHAMED
epa12049099 A Sudanese woman, who fled from the internally displaced persons (IDP) Zamzam camp, rests while on her way to the Tawila Camps amid the ongoing conflict between Sudan's army and the Rapid Support Forces (RSF), in North Darfur, Sudan, 23 April 2025. The RSF claimed control of the Zamzam camp after its assault in April 2025. According to the UNHCR, over four million people have fled Sudan to neighboring countries since the outbreak of the armed conflict in April 2023. EPA/MARWAN MOHAMED
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ROMA, 28 MAG - Donne e ragazze vivono con il rischio costante di subire un'aggressione sessuale nella regione del Darfur, in Sudan, avverte Medici Senza Frontiere (Msf), che tra gennaio 2024 e marzo 2025 ha assistito - solo nel Darfur meridionale - 659 persone sopravvissute a violenze sessuali, di cui il 94% erano donne e il 31% aveva meno di 18 anni. Tra loro, anche bambini con meno di 5 anni. "Parliamo di aggressioni sessuali spietate, spesso di gruppo. Tutta questa violenza è inaccettabile, deve finire. La violenza sessuale non è una conseguenza naturale o inevitabile della guerra, può costituire un crimine di guerra, una forma di tortura e un crimine contro l'umanità", afferma in un comunicato Claire San Filippo, coordinatrice delle emergenze di Msf in Sudan. "Le parti in conflitto devono assumersi le proprie responsabilità e proteggere i civili e i servizi di assistenza alle sopravvissute devono essere potenziati", sottolinea. Le aggressioni, fisiche e sessuali, non avvengono solo durante gli attacchi ai villaggi o lungo le vie di fuga: la mancanza di aiuti umanitari spinge molte persone ad esporsi a pericoli concreti pur di sopravvivere, come percorrere lunghi ed estenuanti tragitti a piedi o accettare lavori rischiosi, prosegue la nota. Anche chi decide di non esporsi a questi rischi, non è comunque al sicuro: resta isolato, senza fonti di reddito, senza cibo, acqua e cure mediche. Non ci sono decisioni o luoghi sicuri, la violenza può colpire chiunque in qualsiasi momento e contesto, persino all'interno della propria abitazione. L'86% delle 659 persone sopravvissute alle violenze sessuali ha riferito di essere stata stuprata; il 94% delle vittime erano donne e ragazze; il 56% ha indicato come aggressori membri delle forze armate, di polizia o di gruppi armati non statali; il 55% ha subito anche lesione fisiche, oltre alla violenza sessuale; il 34% è stata aggredita mentre lavorava o si spostava nei campi; il 31% aveva meno di 18 anni; il 29% aveva tra i 10 e i 19 anni; il 7% aveva meno di 10 anni e il 2,6% meno di 5 anni.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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