Italia e Estero

Monica Guerrini, 5 mesi in cammino alla conquista del Pacific Crest Trail

La bresciana, trasferitasi da Bagnolo Mella in Inghilterra per amore, ha percorso la rotta selvaggia resa celebre dal film «Wild»
  • Alcuni momenti del cammino di Monica Guerrini
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In poco meno di cinque mesi ha percorso una delle rotte più selvagge e celebri d’America, quel Pacific Crest Trail che è incubo e sogno dei camminatori di tutto il globo: 4270 chilometri attraversando California, Oregon e Stato di Washington. «Non siamo riusciti a raggiungere il Canada a causa dell’incendio McKinney, che ci ha imposto lo stop a Stehekin». Solo una catastrofe naturale poteva fermare Monica Guerrini, 48enne di Bagnolo Mella, da un paio d’anni residente a Gosport, Inghilterra, dove è volata per amore.

Un altro cammino, nel 2018, aveva dato una svolta alla sua vita: marciando verso Santiago de Compostela ha conosciuto Karlos, suo attuale compagno di vita e di avventure. Per lui, nel 2020, ha lasciato casa a Bagnolo e lavoro a Torbole Casaglia, per trasferirsi nella cittadina dell’Hampshire. «Insieme a Karlos - racconta Monica - ho percorso nel 2019 la Via degli Dei e la Rota Vicentina, ma il suo obiettivo era ritentare il Pacific Crest Trail che non era riuscito a completare nel 2016. Quell’impresa è diventata il nostro sogno condiviso».

Corsa ai permessi

Per realizzarlo hanno dovuto sfidare in primis la burocrazia. «Prima mi sono rivolta all’ambasciata Usa a Londra per ottenere il visto di sei mesi. Poi abbiamo dovuto accaparrarci i due permessi per percorrere il cammino: i PCT Long-distance Permit sono liberi, ma vengono emessi in numero limitato. E infatti a dicembre 2021 erano andati subito tutti esauriti. Per questo, quando hanno riaperto le iscrizioni a gennaio, ci siamo attrezzati con telefonini e computer, coinvolgendo amici e parenti. Alla fine ci siamo messi in tasca due ticket per l’1 e 2 maggio».

Monica e Karlos alla fine della loro avventura a Stehekin, nello Stato di Washington - Foto © www.giornaledibrescia.it
Monica e Karlos alla fine della loro avventura a Stehekin, nello Stato di Washington - Foto © www.giornaledibrescia.it

Una settimana prima della partenza Monica e Karlos sono atterrati a San Diego, ospiti di un amico conosciuto - guardacaso - lungo il cammino. È lui ad accompagnarli in auto fino a Campo, leggendaria partenza del Pacific Crest Trail. Sono in molti ad avere impressa in mente la sagoma blu dello zaino di Reese Witherspoon nelle scene iniziali di «Wild», film del 2014 ambientato proprio lungo il Sentiero delle creste del Pacifico.

Angeli e orsi

«È stato stremante, ma se potessi ripartirei oggi - è il bilancio di Monica -. Il PCT impone condizioni al limite: si cammina e ci si accampa nella natura più selvaggia, senza letti, bagni o docce. Ci si lava nei ruscelli, temperature permettendo, e in dotazione c’è una paletta da usare per disporre dei propri bisogni lontano dal sentiero. I centri abitati distano l’uno dall’altro almeno una settimana di cammino. Nel mezzo: il nulla. Abbiamo consumato almeno quattro paia di scarpe, ma abbiamo raccolto grandissime soddisfazioni, come scalare il Mount Whitney, la cima più alta degli Usa coi suoi 4200 metri, che si trova appena fuori dal tracciato».

La tenda e, accanto all’albero, i contenitori per gli orsi - Foto © www.giornaledibrescia.it
La tenda e, accanto all’albero, i contenitori per gli orsi - Foto © www.giornaledibrescia.it

Nel bagaglio solo l’indispensabile e gli accessori tecnici che la Revenge di Torbole, azienda per cui Monica lavorava, ha donato alla coppia. «Avevo sempre fame: il nostro menù quotidiano era costituito da noodles disidratati, cibo liofilizzato e snack. L’acqua la filtravamo dai ruscelli o laghi». «All’inizio - confessa ancora Monica - di notte avevo un po’ paura, nonostante avessi Karlos accanto. Lungo parti del trail abbiamo dovuto conservare il cibo in un apposito contenitore, il bear canister, per scongiurare eventuali attacchi degli orsi».

In sorte, però, nessun assalto sgradito, ma solo la gioia di una serie di incontri sorprendenti: «Siamo stati accolti ovunque con generosità e altruismo. Un giorno ci siamo ritrovati con una scorta di cibo da spedire alla tappa successiva, ma con l’ufficio postale chiuso. Una sconosciuta ci ha visti in difficoltà e si è offerta di prendere in carico il pacco e di inviarcelo nei giorni successivi. Il cibo ci è arrivato puntuale e corredato da una lettera bellissima. Non ci ha nemmeno permesso di rimborsarle la spedizione. Inoltre lungo tutto il percorso i trail angels disseminano delle casse con snack e bibite e, quando possono, soprattutto nel weekend, allestiscono banchetti dove rifocillarsi gratuitamente».

La parte più difficile? Monica non ha dubbi: «Riavvicinarsi alla civiltà. A un certo punto il contatto con la natura è diventato un bisogno fortissimo. Ho iniziato a trovare difficile lasciare il sentiero: volevo restare dentro al cammino. Nelle cittadine c’erano troppo caos, rumore e persone. Al momento della partenza io e Karlos avevamo scelto di non fare contratti telefonici con operatori americani. Quindi l’uso della tecnologia era limitato ai centri abitati. Ci siamo sconnessi completamente. Anche per questo il ritorno alla vita normale all’inizio è stato davvero uno choc». E infatti il Pacific Crest Trail non ha placato la fame d’avventura di Monica e Karlos, che adesso nel mirino hanno la Via Francigena. Quella completa, però, che da Canterbury arriva a fino a Roma.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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